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Corea del Sud, Parlamento destituisce il presidente Yoon
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Se si insulta il Cavaliere ogni slogan è ammesso

RomaLa notizia non può essere l’offesa alla magistratura, perché tirare pietre contro gli organi costituzionali è uno sport amatissimo dalla classe dirigente italiana, diversa per colore, ma sempre in cerca di toni forti. Difficile considerare una novità anche il riferimento agli anni di piombo gettonatissimo, quasi sempre a sproposito, nello sgangherato marketing politico nostrano. Un episodio di ordinaria invasione di campo tra poteri dello Stato è recente, ma se l’è ricordato solo il leghista Roberto Castelli. Il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini ha da poco spiegato che il Parlamento che legifera sui processi «non è un bello spettacolo». Il «sindacato» del giudiziario - ha protestato il centrodestra - non vuole che il legislativo faccia il suo mestiere.
Dalle Camere, al Quirinale, i protagonisti di un caso limite risalente a due anni fa, sono Antonio di Pietro e Giorgio Napolitano. Entrambi in questi giorni hanno tuonato contro Roberto Lassini, ma nel 2009 erano su fronti opposti, con l’ex Pm sulla graticola, al pari dell’esponente del Pdl lombardo con la passione per le affissioni. Il leader di Italia dei valori definì un atto dovuto, quale è la promulgazione di una legge (per la cronaca, lo Scudo fiscale), come «un atto vile». Per fare marcia indietro ci mise qualche giorno. Fu aperta un’inchiesta per vilipendio, subito archiviata, ma lo sdegno fu, almeno quella volta, bipartisan.
Nessuno di quelli che in questi giorni vestono i panni dei difensori delle istituzioni, si scandalizzò quando, al «no B day», Salvatore Borsellino disse che la sola presenza di Schifani, seconda carica dello Stato, e di Berlusconi, sono «un vilipendio».
E si fatica un po’ a trovare reazioni indignate, anche nei casi in cui l’estetica della violenza politica non è usata con un’accezione negativa, come nel manifesto di Lassini. Non si registrano condanne firmate dai giustizialisti dell’ultima leva a proposito dei cartelli che, alle loro manifestazioni, si auguravano la morte di Silvio Berlusconi. Marco Travaglio si dimenticò di sanzionare quei militanti e non gli citò gli articoli del codice penale che stavano violando. Cosa che invece ha fatto ieri, dedicando sette righe del suo editoriale alle leggi che riguardano il vilipendio della magistratura. La reputazione dei giudici, evidentemente, gli preme più di ogni altra cosa.
Le cronache della militanza fessa, ci restituiscono la foto della vignetta comparsa sull’Unità, che rappresentava un uomo con la pistola puntata virtualmente contro Renato Brunetta. I manifesti stile far west del Pd contro Maurizio Gasparri, quelli della Fiom contro i sindacati moderati.

O il manifesto dei giovani di sinistra contro la Gelmini, che ritraeva una ragazzina sorridente e dotata di fondina da pistola. Reazioni, zero o quasi. Il registro dell’indignazione, in Italia, si attiva a piacere e solo quando fa comodo alla parrocchia di appartenenza.

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