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Se lo Stato trasforma in farsa perfino la guerra alla mafia

In Sicilia i parenti del boss vanno al mare nella villa confiscata, ma forse hanno ragione loro: l'Agenzia del Demanio avrebbe tenuto per anni le mani sull'immobile sbagliato. Intanto in Calabria i familiari d'un commerciante ucciso dalla mafia denunciano: «Dopo l'autopsia, nessuno ci ha restituito il corpo di nostro padre». Storie di ordinaria follia antimafia. Dietro gli sforzi e il sangue di chi combatte i clan a prezzo della propria vita, c’è anche questo: uno Stato che, a volte, si comporta come in una farsa.
Il «Giornale» aveva raccontao la vicenda del caseificio «Provenzano», nel palermitano: fino a quando l'azienda era gestita dai prestanome di Matteo Messina Denaro, tutto filava liscio. Poi è arrivato lo Stato, che ha confiscato e infine licenziato. Come in Puglia, tra Altamura e Gravina, con una sala ricevimenti: tolta ai proprietari perché in odor di mafia, dopo un anno ha chiuso i battenti tra i debiti, coi lavoratori lasciati in mezzo ad una strada.
Incidenti di percorso? Non sempre, non solo. In queste ore tiene banco la vicenda della villa del boss Giuseppe «Piddu» Madonia: tre stanze da letto, due bagni, cucina e soggiorno con vista sul litorale di Santa Croce Camerina, nel ragusano. La Procura ha chiuso le indagini avviate la scorsa estate, quando la figlia e il genero di «Piddu» furono sorpresi a trascorrere le ferie nel villino, sulla carta sequestrato (e confiscato) con provvedimento del Tribunale di Caltanissetta. I due dovranno rispondere di «concorso in violazione di sigilli, arbitraria invasione di edificio e violenza privata aggravata dall'essersi avvalsi della forza intimidatrice derivante dall'appartenenza a Cosa Nostra». Ma qualcuno potrebbe trovarsi nella condizione di doversi scusare con loro. Secondo il difensore della coppia, l'avvocato Flavio Sinatra, alla base di tutto vi sarebbe infatti un clamoroso equivoco: «Il provvedimento del Tribunale divenne definitivo nel 2001, ma era relativo a un immobile diverso da quello da acquisire». E per porre rimedio alla svista sarebbero passati 8 anni. «Per tutto questo tempo - aggiunge Sinatra - nessuno si è accorto che quella confiscata non era la villa giusta: solo nel 2009 l'Agenzia del Demanio ha chiesto al Tribunale di correggere l'errore. E nel 2010 la confisca è diventata definitiva». Ma c'è dell'altro: «Nel 2011 l'Agenzia ha scritto ai miei assistiti chiedendo loro di lasciare la casa entro il 31 gennaio 2012. Il rilascio è avvenuto il 30 gennaio, con tanto di verbale di sgombero sottoscritto dal dirigente della polizia municipale, dai carabinieri e dalla guardia di finanza». Resta da capire e spiegare, qualora la ricostruzione offerta dall'avvocato Sinatra dovesse trovare conferma, come sia stato possibile che tra il 2000 ed il 2009 nessuno si sia accorto della topica. Inquietante e incredibile, come il racconto che scuote la Calabria: Pompeo Panaro era un onesto commerciante. Nel luglio del 1982, per essersi ribellato alla 'ndrangheta, viene ucciso e il suo cadavere fatto sparire. Lo ritrovano undici mesi più tardi. L'inchiesta sulla sua morte non approda a nulla. Quel che è peggio, i suoi resti, una volta effettuata l'autopsia, sarebbero spariti nel nulla». «C'è un verbale che ne attesterebbe la restituzione ad un figlio oggi scomparso», dice il giornalista Arcangelo Badolati, che dalle colonne della Gazzetta del Sud ha acceso i riflettori sul caso, «ma i familiari dicono di saperne nulla». E un altro figlio del commerciante, Paolo, dichiara: «Da trent'anni aspetto di conoscere la verità sulla fine di mio padre.

Non so neppure se e dove sia stato sepolto».

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