Se tutto un quartiere vuole giustizia

Se tutto un quartiere vuole giustizia

di Giannino della Frattina

Le città sono come le persone, piene di difetti. È normale. E quanto spesso, sia che si tratti di persone che di città, ci fermiamo a parlarne con un pizzico di malanimo. Ma l’importante è che come le persone, le città abbiano anche dei pregi. Delle virtù. E non c’è città come Milano, capace di tirale fuori, quelle virtù. Soprattutto nei momenti difficili. Quando manca il respiro e la tentazione è di arrendersi e chiedere aiuto a qualcun altro. Che si tratti di allungare una mano a chi più soffre in tempi di crisi o di considerare figlio proprio un agente della polizia municipale partito da Campobello di Licata per trovare lavoro, casa e fidanzata. Una nuova vita e mai nessuno avrebbe pensato una tragica morte.
Ora quel nome, Nicolò Savarino, c’è da starne certi rimarrà per sempre legato a Milano. Che lo custodirà e onorerà come quello del più illustre dei suoi cittadini. Perché a Milano tutto si può rimproverare, fuorché di dimenticare chi nei secoli le ha donato ingegno e cuore. E non c’è nemmeno stato bisogno che la tragedia del vigile Nicolò si compisse, per capire quanto quel figlio del Sud più lontano, fosse per Milano gia diventato figlio suo. La gente della Bovisa che subito corre in strada per fermare quel criminale e il bisonte a quattro ruote impazzito. La rincorsa al momento della fuga degli avventori del bar. La lucidità di riferire modello, colore e numeri della targa che consentiranno agli investigatori di braccare immediatamente l’assassino. Le chiamate all’ambulanza e le parole dolci e riconoscenti per ricordarlo. Un’indignazione che sale dal basso e spinge il sindaco Giuliano Pisapia ad offrire alla famiglia il suo patrocinio nelle aule di tribunale. La città a proclamare il lutto cittadino, il calcio a dedicargli il derby di domenica, grande simbolo di rivalità e unione al tempo stesso. Una Milano unita, come raramente succede di vedere. Nella quotidianità, perché invece è nelle difficoltà che le virtù hanno il sopravvento sulla viltà.
E allora com’è lontano quel quartiere omertoso che coprì un altro assassino, quello del tassista Luca Massari, fracassato di botte e morto dopo un mese di coma per aver involontariamente travolto e ucciso un cane che, senza guinzaglio, gli aveva improvvisamente attraversato la strada. Un pestaggio bestiale in largo Camillo Caccia Dominioni, zona Sud, dove fu subito chiaro ai magistrati che le indagini venivano ostacolate da un «impressionante livello di omertà», tirato su per coprire un bullo di quartiere. O forse qualcosa di più. Alcuni testimoni, interpellati subito dopo l’aggressione, avevano addirittura raccontato che il tassista era caduto da solo. Nella notte, l’auto di chi aveva invece ricostruito fedelmente l’accaduto, fu data alle fiamme. E un fotografo aggredito il giorno dopo mentre cercava di scattare immagini dei resti bruciacchati. Un uomo lo colpiva con un bastone alla testa, alla spalla e al braccio, mandandolo all’ospedale.
Due episodi diversi, ma due modi altrettanto diversi di interpretare il ruolo di cittadino. Perché la sicurezza di tutti discende sì dal comportamento delle istituzioni, ma ancor più da quello di chi ha la consapevolezza di vivere in una comunità.

Così come comunità è quella della polizia municipale, fatta di colleghi che hanno rinunciato a smontare a fine turno per dare la caccia all’assassino. O degli agenti del radiomobile che orgogliosamente pretendono di condurre le indagini. Vogliono essere loro a prenderlo.

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