«Se vince il no avremo governi instabili»

Sabrina Cottone

da Milano

«Non ho potuto seguire molto i mondiali, perché anche se sono solo il capo dell’opposizione ho parecchio da fare...». Silvio Berlusconi è a Milano per battezzare la giunta di Letizia Moratti. Presiede la prima, difficile seduta del consiglio comunale, para gli scivoloni azzurri che arrivano nella segretezza del voto e dopo tre fumate nere porta a casa un presidente del consiglio comunale di Forza Italia. Ma è impegnatissimo anche sul fronte nazionale, dalla campagna per il referendum («il sì è indispensabile alla modernizzazione») alle intercettazioni, «una barbarie» che invade le pagine dei giornali e la vita degli italiani.
In questo panorama il governo Prodi è sintomo di una malattia generale e profonda del Paese. «Oggi con Prodi abbiamo un premier debole al servizio dei partiti. Sono riusciti a fare solo lo spacchettamento dei ministeri, litigano ancora per le stanze» attacca. E la medicina, lui ne è convinto, è dire sì al referendum di domenica e lunedì. «Spero nel buon senso dei cittadini. Se vince il no avremo sempre governi instabili» è l’appello che lancia nelle pause della seduta a Palazzo Marino. Berlusconi, comunque, resta convinto che Prodi non durerà e lo confida a pranzo agli esponenti milanesi e lombardi di Forza Italia: «Dobbiamo essere pronti perché andranno in seria difficoltà sulla politica estera e noi non forniremo stampelle».
In aula racconta barzellette ai consiglieri d’opposizione e intorno a lui si crea un capannello di risate. «Al funerale di Berlusconi c’era Veronica... basta così, è troppo buona» scherza l’ex presidente del Consiglio, per un giorno presidente del consiglio comunale grazie ai cinquantatremila voti che lo hanno proclamato consigliere anziano (cioè il più votato). Guida l’aula con serietà e convinzione, apre al dialogo e incassa addirittura gli applausi di tutto il centrosinistra. Dopo il battimani, i complimenti dell’ex prefetto Bruno Ferrante, sconfitto dalla Moratti nella corsa a sindaco: «Ringrazio Berlusconi per l’equilibrio e la professionalità. Il mio auspicio e il mio invito sono che resti in consiglio comunale». Lui ha già detto sì, che non si dimetterà: «Mi sento impegnato a dare il mio aiuto».
Il Cavaliere ha scelto di trascorrere a Milano una giornata cruciale nella campagna per il sì e non rinuncia a spiegare perché i cittadini dovrebbero andare al voto, a partire dalla «necessità di accrescere i poteri del presidente del Consiglio», dandogli facoltà di nomina e revoca dei ministri e soprattutto di chiedere lo scioglimento delle Camere. La prova del bisogno di ammodernamento, spiega, sta proprio nell’attuale governo «al servizio dei partiti». Anche per evitare simili scenari «la modernizzazione si impone».
Non è un attacco alla Costituzione, «che ci ha consentito la crescita in un momento difficile», ma la convinzione che la Carta non sia più al passo con i tempi perché «risente delle stanchezze». Conclusione: «Con un no al referendum ripiomberemmo nella situazione degli ultimi trent’anni: non siamo mai riusciti a varare una riforma costituzionale». Si affida al buon senso dei cittadini ma è consapevole della situazione: «Gli italiani non sono stati informati a sufficienza sul referendum. Tra altre elezioni, estate, fine scuola, vacanze, sono molto dubbioso che questo referendum si svolga nelle condizioni che ci vorrebbero. E mi spiace molto». Spiega di essere stato frainteso quando ha parlato di indegnità di chi non vota: «Volevo dire che se si tratta di modificare punti fondamentali, i cittadini dovrebbero sentire il diritto e il dovere di partecipare».
È durissimo sulle intercettazioni che impazzano su tutte le testate e anche in questo caso l’appello è ai cittadini.

«Una barbarie, un’inciviltà assoluta che dimostra come la magistratura non rispetti la legge, perché è vietato rendere note conversazioni penalmente non rilevanti». L’invito è rivolto anche ai giornali: «È un fatto di inciviltà su cui tutti dovremmo riflettere. Dobbiamo avere reazioni forti e non farci prendere da gossip pruriginosi. È in gioco la libertà».

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