«Se volete la legge islamica andatevene dall’Inghilterra»

Gaia Cesare

«Sa quante lettere di consenso ho ricevuto? Sono stato inondato. Eppure ho detto delle cose semplici, per certi versi ovvie». L’ovvietà di cui discute Shahid Malik è un commento pubblicato qualche giorno fa sulle pagine del Sunday Times e condensato in un titolo lapidario: «Se volete la sharia, andate a vivere in Arabia Saudita». Un monito che, in bocca al primo deputato musulmano nato in Gran Bretagna, eletto lo scorso anno nel Parlamento di Westminster tra le fila dei laburisti, fa un certo effetto.
«Il mio messaggio - ha scritto Malik, di origini pachistane - è questo: che tu sia bianco, asiatico, nero, musulmano, cristiano o ebreo, se non ti piace il luogo in cui vivi hai due scelte. O vai da un’altra parte o ti impegni in un contesto politico, cerchi di apportare cambiamenti ma soprattutto rispetti la volontà della maggioranza». Concetti che il giovane parlamentare, 38 anni, ripete con convinzione dalla sede della circoscrizione in cui è stato eletto, Dewsbury, nel Nord dell’Inghilterra, esattamente il luogo, nei pressi di Leeds, in cui viveva Mohammed Sidique Khan, uno degli attentatori del 7/7 britannico, anche lui di origini pachistane, immortalato lo scorso settembre in un video in cui si dichiarava «un soldato in guerra per l’Islam».
Malik parla con fermezza: «Che le leggi di un Paese piacciano o non piacciano, vanno accettate. E nessuna società può tollerare coloro che non le rispettano».
Vuole raccontarci com’è nato questo dibattito?
«Alcuni giornalisti, a margine di un incontro con il vicepremier John Prescott sulle sfide dell’estremismo, mi hanno chiesto se concordassi sul fatto che quello di cui hanno bisogno i musulmani inglesi è l’introduzione delle festività islamiche e della sharia. Sono caduto dalle nuvole. Poi ho scoperto che il tema era stato sollevato durante un dibattito tra Prescott, il ministro per le Comunità, Ruth Kelly, e alcuni leader musulmani».
Come ha reagito quando le hanno chiesto cosa pensasse dell’introduzione della sharia nel Regno Unito?
«Qualche giorno dopo è uscito il mio commento sul Sunday Times. Lì dico a chiare lettere che forse questi leader pensano che la minaccia del terrorismo nel nostro Paese sia esagerata o che forse tra i sintomi dell’epidemia che affligge molti musulmani c’è l’“atteggiamento negazionista”. Fuori dalla realtà, presi dalla paura di proporre soluzioni reali nel timore di svendersi, ma sempre pronti a pretendere concessioni. Una caricatura triste ma spesso vera di molti leader musulmani».
Come si ferma questa epidemia?
«Ci vuole tolleranza zero su certe questioni. I nostri valori democratici non sono in discussione. La vera battaglia è quella delle idee, quella dei cervelli, non quella delle pallottole».
Alcuni musulmani e molti estremisti sono convinti che la loro sia una battaglia contro alcune ingiustizie nel mondo...
«Forse sono arrabbiati per le bombe in Libano - e per questo lo sono anch’io -, per la guerra in Irak o per la situazione in Palestina. Ma non puoi rispondere dicendo che tutti gli ebrei sono da uccidere. Due ingiustizie non fanno giustizia e due errori non fanno la cosa giusta».
Non rischia di irritare molti musulmani con le sue parole?
«Voglio dire ai musulmani inglesi che in questo Paese godiamo di libertà, diritti e privilegi che per gli islamici, in altre parti del mondo, sono solo un sogno. Dovremmo apprezzare tutto ciò e impegnarci per rispettare gli obblighi e le responsabilità che fanno parte del contratto che abbiamo col nostro Paese. Anche la sharia dice che se ti è consentito praticare la tua religione, devi obbedire alle leggi del territorio che ti permette di praticarla».
I flussi di immigrati stanno diventando un’emergenza non solo per il nostro Paese, l’Italia, ma per l’intera Europa. Anche il Regno Unito ha scoperto “il nemico in casa”. Come va gestita l'immigrazione perché possa trasformarsi in integrazione?
«Gli spostamenti dei popoli stanno diventando una sfida globale. Ma siamo onesti: se molti immigrati non fossero nei nostri Paesi, la nostra economia si fermerebbe. Allora l’unica soluzione è aprire le porte alle persone che hanno un mestiere, a quelle che possono rendere le nostre nazioni più competitive.

Questi sono benvenuti perché sono utili nei nostri ospedali, nelle nostre industrie, nei nostri hotel. Gli altri dovranno aspettare. E per tutti deve essere chiara una condizione: se vogliono convincerci delle loro ragioni, devono farlo con mezzi democratici e non con la sharia».

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