Sebastiano Lo Monaco debutta in un inedito Otello «Non voglio rifarmi a Gassman, soltanto a me stesso»

Si sa da tempo che Sebastiano Lo Monaco, a parte la sua eccezionale performance in «Uno sguardo dal ponte» quando, nella canottiera a righe di Eddie Carbone, riuscì a sfatare persino il mito di Raf Vallone, al teatro moderno preferisce di gran lunga i classici. Passando con uguale disinvoltura da Shakespeare a Pirandello. Non l'abbiamo ancora visto, è vero, indossare il bianco sparato di Amleto, ma in compenso, da un anno a questa parte, lo ammiriamo in questa inedita versione di «Otello» che, grazie alla consumata abilità di un impaginatore di lusso come Roberto Guicciardini, ora approda al Nuovo dove regnerà incontrastato dal stasera fino al 7 dicembre. Come apparirà in scena, cosa dirà o meglio ancora cosa ci concederà ce lo dice lui stesso con quella voce, tra rauca e suadente, che è da anni la croce e delizia dei suoi ammiratori. In cosa è diverso questo «Otello», gli chiediamo, da tutti gli allestimenti che finora ci sono passati sotto gli occhi? «Non aspiro a rifarmi a Gassman e tantomeno a Randone - risponde - i quali, nel loro magnifico spettacolo di tanti anni fa, giunsero addirittura a scambiarsi il ruolo di Otello con quello di Jago. Ho preferito, invece, scendere volutamente nel profondo di me stesso per offrire al pubblico una variante inedita di questo straordinario personaggio». In che modo? «Ha visto il film che Zeffirelli ricavò dall'opera verdiana? Con Placido Domingo che, in flashback, tra una nota e l'altra evocava l'adolescenza di un Moro perseguitato dagli eventi, scacciato dalla sua Africa, costretto all'esilio su tutti i mari e tutti i porti del mondo?» Sì, certo. Ma non vedo come… «Come si situi il ricordo di quel film-opera col mio spettacolo? Ebbene, è facilissimo, mi creda. Con Guicciardini abbiamo lavorato a lungo sulla nevrosi di Otello, sulla sua diffidenza nei confronti di chi lo circonda, con quella disperata sete d'amore che in lui non si distingue dalla cieca fiducia nei sottoposti da lui nominati. Il mio Otello adora i bianchi coi quali collabora ma, per un atavico complesso d'inferiorità, soggiace ai loro consigli, alla loro influenza.

Per questo motivo persino Jago, che in fondo è solo un umile alfiere, acquista tanto potere su di lui. Solo un bianco può conoscermi fino in fondo, pensa l'Otello di Sebastiano Lo Monaco che vedrete a Milano». È questo, allora, il leit-motiv della tragedia? «È questo, e nient'altro che questo».

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