Sedici anni fa la strage di Capaci Alfano: «Avanti nel nome di Falcone»

Il neo Guardasigilli a Palermo: «La priorità è combattere Cosa Nostra»

da Roma

Angelino Alfano arriva nella «sua» Sicilia nel giorno in cui, 16 anni fa, fu ucciso dalla mafia Giovanni Falcone. Quel 23 maggio 1992, confessa il neo Guardasigilli nell’aula-bunker dell’Ucciardone gremita da 2mila ragazzi, ho provato «l’imbarazzo e la vergogna di essere siciliano». Ma ora la Sicilia è diversa. Dopo il tempo in cui si negava l’esistenza della mafia, poi quello in cui si tacevano i legami con la politica, quello del silenzio, delle stragi e della paura, è arrivato il momento della «speranza e della battaglia». E Alfano è «fiero» di essere il ministro della Giustizia «siciliano» che può raccontare a tutta l’Italia «una nuova generazione di giovani che non ha paura della mafia». Il «cuore» del suo impegno nel governo, promette, sarà la lotta a Cosa Nostra. Sempre con le immagini della strage di Capaci negli occhi, da quel ministero di via Arenula dove Falcone ha lavorato e che ora ne custodisce il monumento, il giovane Guardasigilli s’impegna a «completare il suo disegno». Con i fatti e non con i «proclami». Per Alfano, gli 8 articoli sulla lotta alla mafia dei 30 del pacchetto-sicurezza sono «il miglior regalo» alla memoria del giudice ucciso. «È importante - dice- colpire i patrimoni dei boss mafiosi. E anche che i beni confiscati vengano subito utilizzati dalla società civile. Oggi i mafiosi tengono più al patrimonio che alla libertà perduta».
A Palermo ci sono anche il ministro dell’Interno, Roberto Maroni e il presidente del Senato, Renato Schifani che garantiscono più presenza delle istituzioni, c’è il viceministro della Giustizia Usa Mark Filip, che racconta come in America Falcone sia «un eroe». Arriva il messaggio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ammonisce: «L’impegno contro la mafia non può subire flessioni».
Per Alfano c’è anche il primo incontro con l’Anm, i cui vertici, con quelli dell’avvocatura, incontra nel Palazzo di giustizia. E lì ricorda un altro magistrato vittima delle cosche, uno di quei «giudici ragazzini» che dopo la riforma non possono più essere mandati al fronte. «Il giorno in cui ho saputo dalla tv di essere stato indicato come ministro della Giustizia - dice-, ho pensato che alla stessa età, 37 anni, un ragazzo della mia stessa provincia è stato ucciso per la giustizia, il giudice Rosario Livatino».
Proprio quella norma che impedisce ai più giovani di coprire le sedi di frontiera, spiega il neopresidente dell’Anm Luca Palamara, crea però vuoti d’organico e presto l’associazione presenterà le sue proposte su questo e altri problemi. Alfano invita al dialogo e preannuncia riforme, Palamara parla di «superare i malintesi con la politica». Ma alle toghe interessa mandare segnali precisi al Guardasigilli.

Gian Carlo Caselli, oggi a capo della procura di Torino ma per anni al vertice di quella palermitana, gli consiglia di «riformare la giustizia e non i giudici», di occuparsi del funzionamento della macchina e non dell’ordinamento giudiziario. Altrimenti, avverte, si chiudono «i battenti».

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