A sedici anni vive sotto scacco della baby gang

A sedici anni vive sotto scacco della baby gang

(...) decise di farsi sentire a scuola. Probabilmente un richiamo ai quei compagni di classe non ha fatto altro che scatenare la loro violenza: «Dopo quel secondo episodio mio figlio è stato minacciato durante le ore di lezione». «Quando ti becchiamo fuori dalla scuola ti ammazziamo di botte», «Ti aspettiamo fuori e te la facciamo pagare» le frasi minacciose rivolte ad Alessandro. Situazione così difficile che anche una professoressa, resasi conto di quanto stava accadendo, sentì il bisogno di chiamare in via riservata la famiglia dello studente per denunciare quello che stava accadendo: «Quando ci contattò era molto preoccupata - continua il racconto la madre -, ci disse di stare molto attenti per nostro figlio e ci segnalò che lo avevano preso di mira. Mi disse che questa baby gang non si fa scrupolo per nulla. Così, dopo quella segnalazione abbiamo deciso di tenerlo a casa. Eravamo e siamo spaventati».
Un periodo di reclusione forzata per un adolescente abituato, tra l’altro, a fare sport ed essere molto attivo al di fuori dell’impegno scolastico. Amici e compagni di scuola lo descrivono come un ragazzo timido e riservato, mai sopra le righe: atteggiamento che forse ha stimolato i bulli della scuola con la conseguenza di aver portato il ragazzo a restare prigioniero tra le mura di casa per sfuggire alla violenza. «Dopo quindici giorni la scuola ha chiamato a casa chiedendo spiegazioni sull’assenza di Alessandro - prosegue la signora -. Spiegando la faccenda ci sono state date risposte molto vaghe con accenni al fatto che la responsabilità del furto dello zaino era da attribuire a lui perché lo aveva lasciato incustodito».
Quindi la scelta di tornare in classe ma sotto scorta. I genitori accompagnano Alessandro a scuola alla mattina e lo vanno a recuperare all’ora di uscita perché possa sfuggire alle minacce. Una storia paradossale che stride con quella della vita della mamma di Alessandro: «Cose del genere non si vivono nemmeno nelle favelas. Per cosa sono venuta via dal Brasile? Per vedere mio figlio, nato in Italia e genovese più dei genovesi, vittima della violenza di ragazzini extracomunitari? Mio figlio non ha protezione, nessuno lo tutela».

Neanche una denuncia sulle intimidazioni perché a poter rivelare le minacce alla polizia deve essere la scuola stessa. «Le nostre preoccupazioni crescono ogni giorno di più. Non vedo tutele e chi deve sapere, sappia che se succede qualcosa a mio figlio sono pronto a farmi giustizia da sola».

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