SEGNALE DI RESA

Nella nostra civilissima Europa si può, per fortuna, manifestare pro o contro tutto. Contro e per le Chiese, le leggi, i governanti. Si può scendere in piazza contro l'Europa, e spazi di manovra pubblica vengono concessi persino a gruppi di neonazisti e di pedofili. Ieri, però, nell'Unione Europea è stato ufficializzato un nuovo tabù: quello di dimostrare contro l'islamizzazione del nostro continente. Beninteso, nel corteo proibito dal sindaco di Bruxelles Freddy Thielemans, per l'anniversario dell'11 settembre, ci sarebbero stati anche elementi di deprecabile xenofobia, razzisti e estremisti di destra con i quali è meglio non avere a che fare. La Sioe (Stop the islamization in Europe), però, aveva lo scopo più che condivisibile di presentare al Parlamento comunitario una petizione contro le leggi possibiliste sulla sharia, che hanno già avuto applicazioni ambigue in Danimarca, in Germania, e anche in Italia, sulla poligamia e sul «diritto» di picchiare moglie e figli. Non si trattava, dunque, delle vecchie diatribe - peraltro importanti - sulla liceità del velo o sui simboli religiosi negli edifici pubblici, ma di una questione che entra nel cuore del nostro diritto e della nostra civiltà.
Ma ammettiamo pure si trattasse di una nuda e cruda volontà di opporsi all'islamizzazione dell'Europa, come sintetizzavano i cartelli «No Eurabia». È una protesta legittima che invece viene considerata a priori xenofoba, di odio religioso o addirittura razzista. Se in alcuni casi è così, non si vuole mai tenere conto che accettare una sempre maggiore penetrazione della cultura islamica nelle nostre società è oggettivamente un pericolo. Perché quella musulmana è una cultura che, fondendo i piani civile e religioso, la sharia, appunto, rischia di riportare l'Europa e gli europei a una situazione che fortunatamente (e sanguinosamente) abbiamo superato da secoli. Inoltre è palese che il terrorismo islamico fa sempre più proseliti anche fra giovani musulmani nati nel nostro continente, come dimostrano gli ultimi attentati in Gran Bretagna, figurarsi fra i nuovi arrivati.
Oltre al ricatto del politicamente corretto a tutti i costi, c'è il ricatto della paura. Secondo le agenzie di stampa internazionali, il sindaco di Bruxelles temeva la reazione dei più fanatici tra la comunità musulmana locale. La stessa paura che hanno avuto tutti gli Stati europei ai tempi delle vignette danesi su Maometto. In quell'occasione noi, che liberamente ironizziamo su papi e santi, ci siamo censurati sulla libertà di fare satira sul Profeta. Abbiamo ammantato quella scelta come una prova di sensibilità verso l'«altro».

E però l'«altro» l'ha recepita come una debolezza, come una dimostrazione che l'islamizzazione dell'Europa è possibile e che verrà favorita dalla nostra paura, come sostenevano Oriana Fallaci e, prima di lei, Bat Yeor e Ida Magli. Che a Bruxelles si sia preferito mettere in galera dei parlamentari europei, pur di non offendere l'Islam, è un altro pessimo segno di resa.
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