Sei italiani su dieci: lo Stato blocchi chi paralizza il Paese

La famosa maggioranza silenziosa è sempre più stragrande maggioranza e sempre meno silenziosa. Perché se oltre sei italiani su dieci pensano che a questo punto lo Stato dovrebbe usare il pugno di ferro di fronte alla selva di pugni chiusi degli scioperanti di turno, vuol dire che la misura è colma. Un sondaggio effettuato da Demoskopea per il Giornale tasta il polso dei cittadini e rileva nervi a fior di pelle, pessimismo e fastidio. E il caos, i cori, le sfilate, le trombette, gli striscioni e i fischietti stanno diventando sempre più come la leggerezza dell’essere: insostenibile.
Vai alla stazione e il treno non parte, vai in aeroporto e l’aereo non decolla, vai a scuola e l’aula resta chiusa, vai in autostrada e l’automobile non avanza, vai in centro e l’autobus non circola. Insomma, un inferno quotidiano. Protestano gli studenti, contestano i professori, si ribellano i piloti, insorgono le hostess, si lagnano i dipendenti pubblici, si fermano i metalmeccanici, si bloccano tram, bus, taxi e persino gli skilift. E ai cittadini piomba in testa l’ennesimo ingorgo, l’ennesimo disagio, l’ennesimo ostacolo. L’autunno dev’esser caldo per definizione e, sicuro come il tramonto, arriva la minaccia dell’Epifani di turno: «Si scivola inesorabilmente verso lo sciopero generale».
Solidarizzare con i lavoratori? Nemmeno per sogno. Non c’è lotta che piaccia, non c’è aquila selvaggia che tenga. Vola soltanto la stizza del perenne imbottigliato a Roma, Milano, Napoli o Torino. Il 64 per cento degli intervistati chiede ora che lo Stato faccia lo Stato, che intervenga, che dica «stop» allo «stop». E al coro «scio-pe-ra-re, scio-pe-ra-re», la moltitudine sempre meno silenziosa risponde con «pre-cet-ta-re, pre-cet-ta-re».
E sembra quasi di sentirlo un ideale lungo applauso al ministro Maroni che proprio ieri ha sotterrato l’ultimo picchetto a Fiumicino con un «non accadrà più perché è una violazione di legge». Ma le orecchie del sindacato sono tappate da tempo e non arriva né il coro, né l’applauso, né l’ammonimento sempre più acuto di chi non crede più nella vagonata di sigle che ogni giorno mette in ginocchio il Paese. Il 68 per cento degli italiani pensa infatti che i vari Epifani, Angeletti e Bonanni - per non parlare dei sindacati minori, della minoranza dei duri e puri, di quelli che «la trattativa non andava neppure iniziata» - non rappresentino più le esigenze di chi lavora. Quasi sette su dieci hanno quindi licenziato le associazioni di categoria, altro che articolo 18. Il paradosso: sebbene la stragrande maggioranza degli iscritti dei principali sindacati siano oramai pensionati, sono i giovani e i giovanissimi a credere ancora che i lavoratori siano tutelati dai rappresentanti di categoria.
Insomma, questo incrociar le braccia a ogni stormir di fronde ha stancato più di sei italiani su dieci. Si trovino altri strumenti di protesta, ci si inventi qualcosa d’altro se - come emerge dal sondaggio - il 63 per cento degli interpellati ritiene «poco valido» o «per niente valido» lo strumento della serrata. «Lo sciopero del sole», inneggiava la Bandabardò cantando la protesta della stella che, stufa di soffocare dai gas, decise di astenersi dal lavoro e far fare il proprio mestiere a un «sole di cartone». Altro spartito suona la maggioranza degli italiani che oggi vuole che il sole trovi un’altra via per le sue rivendicazioni: «Meglio inventarsi nuove forme di protesta che creino minori disagi», sbuffa il 55 per cento degli intervistati. E se il 23 per cento chiede solo un vago «più dialogo e risolvere i problemi prima di arrivare allo sciopero», c’è pure qualcuno che sbotta: «Invece di scioperare gli autisti, qualche volta dovrebbero scioperare i controllori... In questo caso sì che avrebbero l’appoggio dei cittadini».
Ricapitolando. Gli italiani subiscono il sit in, la protesta, il corteo urlante. Che pizza sta piazza, dicono sei cittadini su dieci per i quali lo sciopero si patisce sempre e comunque. Solo quattro su dieci lo appoggiano, nonostante gli impicci che comporta.

Ma il risultato s’impenna alla domanda se sia giusto che siano sempre i soliti ad andarci di mezzo. Qui la maggioranza si fa bulgara. «È corretto che siano i cittadini a dover pagare con notevoli disagi?». La fetta di torta dei no si allarga a dismisura e si gonfia fino a riempirne l’83 per cento del totale.

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