Ha perso, per la prima volta. E male, perché al Senato Barack Obama dispone di una maggioranza di 60 voti su cento. Ma a otto anni dall11 settembre lincubo del terrorismo è più forte della fiducia in un presidente che, ispirandosi a Franklin Delano Roosevelt, aveva sollecitato lAmerica a non avere più paura, a cambiare davvero. Laltra notte il Senato ha votato quasi allunanimità lo stanziamento di 91,3 miliardi di dollari per continuare la guerra in Irak e in Afghanistan; ma poche ore prima aveva negato al capo della Casa Bianca i fondi per chiudere Guantanamo con un risultato schiacciante: 90 a 6. Un disastro. Di più: una disfatta, che incrina limmagine finora lucente di Obama, anche perché contrapposta a quella dellodiatissimo ex vicepresidente Dick Cheney, che lo ha sfidato in pubblico. Una missione impossibile, in teoria. E invece giovedì notte il cattivo ha vinto e il buono ha perso, tradito dai suoi.
Tradimento doppio, non solo per il voto a valanga del Senato, ma per il contesto in cui è maturato. In mattinata il capo della Casa Bianca ha parlato agli Archivi Nazionali. Come hanno rivelato fonti governative al sito Politico, Barack avrebbe preferito concentrarsi sulla riforma della Sanità, ma i leader democratici lo hanno convinto a pronunciare un discorso di alto profilo sulla sicurezza, come ad offrire ai senatori una copertura autorevole contro le prevedibili bordate della destra. E lui ha accettato. Dando il meglio di sé. Tra gli interventi degli ultimi mesi, questo è stato uno dei più belli, coinvolgente, ispirato.
Ma è bastato laffondo di Cheney, in diretta tv pochi minuti dopo Barack, per far emergere laltra America: quella che è ancora ossessionata dalla sicurezza, dallimmagine degli aerei che si schiantano contro le Torri Gemelle. UnAmerica ansiosa, diffidente. Di destra? Ovvio, ma anche di sinistra. Quel dato - 90 a 6 - non permette equivoci. Il sentimento è condiviso. E cinicamente alimentato dallex vice di Bush che non si è limitato a tratteggiare Obama come un leader debole, incapace di garantire la sicurezza nazionale. Subliminalmente ha creato un sillogismo - se Al Qaida riuscisse a colpire di nuovo lAmerica la colpa sarebbe di Barack - e a far sorgere un dubbio: chi vuole correre il rischio di essere complice? Quasi nessuno, per ora; al punto che i fondi per chiudere Guantanamo sono stati stralciati dalla votazione finale.
La bocciatura non è definitiva e la partita sulla prigione speciale resta aperta. Obama ha già fatto sapere che tornerà allattacco, ma il voto dellaltra sera rappresenta una svolta, forse linizio della sua normalizzazione. In passato tutti i presidenti, per far passare riforme scomode, hanno dovuto lottare con il Congresso, anche se retto da maggioranze amiche. Barack ha scoperto improvvisamente che il suo richiamo - quasi messianico e confortato da una popolarità altissima - non basta, quando deve affrontare temi molto sensibili, come quello del terrorismo. Per chiudere Guantanamo dovrà faticare. Tanto. E molto probabilmente chiedere laiuto del suo ex rivale alle presidenziali, John McCain, e di altri repubblicani come Lindsey Graham.
Ma, soprattutto, Obama dovrà imparare a essere più fermo, coerente, anche a costo di sacrificare qualche punto percentuale nei sondaggi dopinione. Se Cheney è riuscito con sorprendente facilità a intimidire i senatori, la colpa in parte è dello stesso Barack, che negli ultimi quattro mesi si è contraddetto più volte. Ha annunciato di voler chiudere le carceri speciali e di trasferire i prigionieri negli Usa, ma è stato costretto a ricredersi, almeno parzialmente. Ha diffuso i documenti che provano come la tortura sia stata autorizzata dal precedente governo, ma si è rifiutato di varare una commissione dinchiesta indipendente per stabilire le responsabilità dei ministri ed eventualmente di Bush. Ha deciso di pubblicare altre foto di sevizie, come quelle di Abu Ghraib, ma dopo un paio di giorni si è smentito, perché ha capito che avrebbero provocato una fiammata di antiamericanismo nel mondo.
Ci vuole una mano ferma per scacciare la paura dal cuore degli americani.
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