Il Senato si scorda di proteggere il made in Italy

Belloli, leader dei Contadini del tessile: «Le griffe e i grandi gruppi che fabbricano in Cina stanno cercando di fare insabbiare la legge approvata dalla Camera. Ci sono strani emendamenti». Ma la battaglia si allarga

Il Senato si scorda di proteggere il made in Italy

La bottiglia di champagne era già pronta, ma resterà in frigo ancora a lungo, forse per sempre. La legge che permette solo alle aziende che producono davvero in Italia di usare il marchio Made in Italy, si è persa in Parlamento. Per ragioni oscure. Anzi, chiarissime secondo Roberto Belloli, il leader dei Contadini del Tessile, il movimento di piccoli e medi imprenditori nato spontaneamente lo scorso luglio, che sta ottenendo un successo crescente e che ha ispirato il provvedimento a tutela del Made in Italy.
Quella legge fu proposta in dicembre da Marco Reguzzoni, della Lega Nord, e sostenuta con convinzione da Santo Versace, del Pdl, e fu approvata dalla Camera dei Deputati con una maggioranza schiacciante, 543 sì, un solo no e due astenuti. Piaceva a tutti: destra, centro, sinistra.
Di solito in queste circostanze, l’iter al Senato è molto semplificato e l’approvazione finale praticamente scontata. L’aula avrebbe dovuto votarla già in febbraio. E invece non è stata nemmeno calendarizzata ovvero non si sa nemmeno quando verrà discussa. È ferma in qualche meandro del Senato.
«Qualcuno sta cercando di insabbiare la legge», denuncia Belloli al Giornale. Già ma chi? «Le griffe, i grandi gruppi che hanno delocalizzato quasi tutta la produzione ma fanno credere al consumatore che i capi sono stati fabbricati qui», spiega, il leader dei Contadini del tessile che attacca l’influenza opaca delle lobby.
«Da qualche giorno circolano in Senato strani emendamenti che di fatto stravolgono il testo, rendendo facoltativo il rispetto dei criteri di produzione che nel testo approvato alla Camera sono obbligatori. C’è chi propone di aspettare un anno per il voto finale e chi suggerisce di demandare l’applicazione al regolamento europeo ovvero al nulla, visto che la Ue non tutela il Made in Europe».
Belloli trova singolare l’alzata di scudi dei confezionisti di Classico Italia, il cui giro d’affari è minimo, e che si oppongono alla legge. «Ma non ci arrenderemo e daremo battaglia», promette.
C’è da prenderlo in parola. A luglio era da solo, adesso oltre 500 aziende aderiscono al movimento dei Contadini, che non è più limitato al tessile ma riguarda quasi tutti i settori produttivi. «L’altro giorno mi ha contattato anche un produttore di cavi di Barletta e arrivano le prime iscrizioni di liberi professionisti», confida.
«La sfida è chiara: da una parte c’è l’Italia degli imprenditori che sono radicati sul territorio italiano, che qui producono, qui assumono, qui pagano le tasse, qui creano ricchezze.

Dall’altra, i grandi nomi che fabbricano in Cina e che in Italia mantengono, quando va bene gli uffici», si sfoga Belloli. La Camera si è già espressa. E bene.
«Che cosa aspetta il Senato a fare altrettanto?», s’indigna Belloli. Ottima domanda. Perché nessuno dei senatori impugna, senza se e senza ma, la bandiera del Made in Italy?

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