Sentenza che divide. "Ombre sulla strage di Bologna", i dubbi di Fini e di Rifondazione

A sorpresa "Liberazione", quotidiano del Prc: "Il verdetto che ha condannato i Nar è sbagliato". Fini: "Dissolvere le zone grigie che suscitano perplessità è un servizio reso alla democrazia". La rivelazione di Fioravanti: "I familiari delle vittime mi han scritto: basta odio"

Sentenza che divide. "Ombre sulla strage 
di Bologna", i dubbi di Fini e di Rifondazione

Roma - «Da quella lapide dobbiamo togliere le parole “strage fascista”». Era il 2 agosto del 1990, decimo anniversario della bomba alla stazione di Bologna. E a mettere in dubbio la verità processuale che ha condannato in via definitiva Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini per la strage di Bologna era Luigi Cipriani, deputato di Democrazia proletaria. Da allora di anni ne sono passati diciotto e come ormai regolarmente accade ogni volta che si avvicina l’ennesimo anniversario si riapre il dibattito sulle troppe ombre di una sentenza che convince poco. Soprattutto a destra, ma anche a sinistra.

Tanto che per una volta - e a distanza di sole quarantotto ore - Il Secolo di Italia e Liberazione si sono ritrovati dalla stessa parte della barricata. Il quotidiano di An con un’apertura di giornale dedicata alla procura di Bologna che, si lascia intendere, non starebbe verificando i nuovi elementi di prova sulla cosiddetta pista palestinese. Quello del Prc, invece, con un pezzo a pagina 3 dal titolo eloquente: «Resta sbagliata la sentenza che condanna Mambro, Fioravanti e Ciavardini». Adistanza di anni, dunque, il dibattito continua. E le perplessità si fanno sempre più forti se all’inizio, soprattutto a sinistra, erano in pochi a mettere in dubbio la matrice fascista di quegli 85 morti. E quei pochi, peraltro, venivano dall’ala più radicale se non direttamente dalla lotta armata come la br Anna Laura Braghetti, carceriera di Aldo Moro.

Negli anni Novanta, invece, toccò a Giovanni Pellegrino, allora presidente della commissione Stragi, essere il primo esponente di punta dei Ds a mettere in dubbio la verità processuale della strage di Bologna («è una sentenza appesa nel vuoto»), con prevedibili code polemiche. Che, va detto, andranno avanti ogni volta che si avvicinerà la scadenza fatidica del 2 agosto. Detto questo, non possono passare inosservate le parole pronunciate dal presidente della Camera Gianfranco Fini e quelle scritte sul quotidiano diretto da Piero Sansonetti.Che sostanzialmente concordano nel merito. «È necessario - dice Fini - che dopo tanti anni si dissolvano le zone d’ombra che hanno suscitato perplessità crescenti nell’opinione pubblica intorno all’accertamento della verità sulla strage». Visto che, scrive Andrea Colombo su Liberazione, «con tutto il rispetto», quella di Bologna «resta una sentenza sbagliata». E - insiste il presidente della Camera dopo aver espresso la sua «vicinanza» alle famiglie delle vittime - fare chiarezza «sarebbe un servizio prezioso reso alla democrazia del Paese».

Una battaglia per la quale si battono da anni Marco Pannella e i radicali. Il problema vero, si legge su Liberazione, è soprattutto l’ostinazione di «una parte della sinistra» che continua a «negare ogni dubbio». Colpa di un mix esplosivo tra le ragioni del passato e quelle del presente. Perché se da un lato è difficile e per molti versi imbarazzante mettere in discussione la condanna a tre Nar in anni in cui l’estremismo di sinistra ha lasciato per strada molte vittime, dall’altra c’è il problema più contingente di quanto possa essere politicamente sconveniente dubitare di una sentenza ormai definitiva. Negli anni che sono trascorsi da quel 2 agosto del 1980 sono stati soprattutto questi i due elementi che hanno soffocato sul nascere ogni possibile riflessione: il conto delle spettanze funebri, quando si sono iniziate a tirare le somme degli Anni di piombo, e l’antiberlusconismo in tempi più recenti.

Perché se si mettesse in discussione la sentenza sulla strage di Bologna - scrive Colombo (già giornalista de il manifesto, oggi portavoce di Rifondazione) - si «porterebbe acqua al mulino di chi combatte contro la magistratura». Cioè «al mulino di Silvio Berlusconi».

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