Parigi - Multa. Multa milionaria. Multa bilionaria. E poi la squalifica dall’attuale mondiale costruttori, da quello piloti, da quello del prossimo anno, e poi fucilazione, crocifissione.
Invece, niente di tutto ciò. Nulla. Zero. Il giorno del giudizio per la McLaren-Mercedes si è trasformato nel giorno della grande beffa per la Ferrari. Per settimane si è argomentato sul destino delle frecce argentate anglo-tedesche e quelle stesse frecce si sono conficcate nella schiena del presidente Luca di Montezemolo, in quella di monsieur Jean Todt, dei vertici del Cavallino. E sono frecce che fanno male perché intinte nel veleno dell’illogica. Non ha senso il non luogo a procedere per insufficienza di prove deciso dalla Fia e suggerito dal presidente un po’ dittatore, Max Mosley. Come dirà in serata l’avvocato Roberto Causo, il legale che difese la stessa Fia nel processo Senna, «basta la conoscenza illecita di un progetto per far scattare la responsabilità oggettiva».
ORE 9,30, S’INIZIA Uno dopo l’altro entrano molti dei big del grande processo allestito dalla Federazione internazionale dell’auto nella sua sede di Place de la Concorde. C’è chi arriva inosservato come Ecclestone, gran capo della F1, che sfrutta il parapiglia al passaggio dell’ad Ferrari Jean Todt; c’è chi si precipita in aula dal contiguo hotel mille stelle, e chi entra dal retro. Impossibile non notare Ron Dennis, il patron McLaren (accompagnato dai suoi manager Jonathan Neale e Paddy Lowe, fra l’altro citati nel famoso memoriale del tecnico Coughlan come informati sul dossier Ferrari) che spunta con al seguito tre legali con quattro valigioni da crociera zeppi di documenti da consegnare e mostrare ai 26 del consiglio mondiale.
SI COMINCIA Vengono letti i capi d’imputazione, dopo di che tocca agli avvocati del team difenderlo dall’accusa di «possesso non autorizzato, tra marzo e luglio, di documenti e informazioni confidenziali appartenenti alla Ferrari». La difesa illustra la propria linea, la Ferrari, con Todt e il legale del team, Henry Peter, fa lo stesso; ad un certo punto si registrano anche scontri verbali fra Dennis e il capo francese della Rossa. Si va avanti così fino alle 13.
LA DIFESA ESCE Il pool McLaren esce e va a mangiare nel vicino hotel. I membri del consiglio, ferraristi compresi, restano nel palazzo Fia. I legali britannici ritorneranno, sempre con il patron del team, verso le 14.
INTERVIENE MOSLEY Todt lascia l’aula mentre i membri del consiglio argomentano e si confrontano; il presidente Fia, Max Mosley ascolta, poi si ritira, torna. A quel punto ha già messo nero su bianco le linee del suo pensiero, a quel punto inizia il «global thinking» del presidente, il pensiero che deve valutare tutte le possibili conseguenze di una condanna, non solo sui team interessati, ma sull’intera F1. È a quel punto che illustra l’idea di assolvere la McLaren, lasciandole però, da qui in poi, una spada di Damocle sulla testa. Il suggerimento di Mosley – si vocifera molto imperativo – viene accolto all’unanimità, e solo l’italiano Macaluso nicchia e domanda, senza una vera risposta, «come mai Coughlan non sia ancora stato licenziato...».
LA SENTENZA BEFFA Dopo sei ore, di cui solo mezz’ora dedicata alla sentenza, ecco la decisione: «La McLaren era in possesso di informazioni confidenziali della Ferrari. Tuttavia non ci sono sufficienti prove che questi dati siano stati usati per interferire in modo scorretto con il mondiale F1. Da qui la decisione di non mettere alcuna penalità. Se in futuro, però, troveremo prove al riguardo, la McLaren rischierà non solo l’esclusione da questo mondiale ma anche dal prossimo».
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