«Senza divi e senza generi, il nostro cinema è in crisi»

MilanoAttrice, produttrice, diva: e diva soprattutto perché quando si è così affascinanti si finisce per esserlo a prescindere. Non che le dia fastidio, ma Francesca Neri sa tenere quel ruolo a bada. E sa farlo convivere con gli altri due. L’attrice trentina (adottata da Roma) è a Milano per la seconda edizione del Martini Premiére Award, il premio nato l’anno scorso per il 50esimo anniversario della Terrazza Martini, uno dei luoghi più esclusivi della città. Insieme a Isabella Ferrari, la Neri è madrina della manifestazione il cui obiettivo è valorizzare i talenti emergenti e l’innovazione nel linguaggio cinematografico e nella promozione dell’industria del cinema. È nella milanesissima terrazza che domina la metropoli, che incontriamo l’attrice e produttrice.
Cinema, giovani talenti e capacità innovativa: qual è il suo parere sullo stato dell’industria?
«Sull’industria sono ottimista, sui rapporti con le istituzioni pubbliche purtroppo no. La politica sembra determinata nel non considerare arte e cultura il cinema. Un premio così è importante perché non onora solo il bel film, ma professionalità specifiche, dal linguaggio alla promozione fino al look di un film. Con premi come questi si cerca di diversificare i generi. La mancanza di generi nel cinema italiano, che fa solo film d’autore e commedie, è una delle ragioni della sua crisi. Altri Paesi europei hanno cinematografie più produttive perché non hanno abbandonato il giallo, il thriller, la commedia sofisticata, la denuncia sociale e neppure il western.
E il pubblico italiano si è disamorato?
«Penso di sì. Il pubblico sceglie il titolo americano perché sa di trovarci divertimento. E poi in Italia mancano i divi capaci di portare la gente in sala. Insomma, il pubblico non cinefilo va fatto innamorare del cinema italiano».
La si vede meno spesso sullo schermo. Il suo ultimo film è stato «Il papà di Giovanna» alla corte di Pupi Avati, nel 2008, con cui vinse il Nastro d’Argento come migliore attrice non protagonista. È più esigente nello scegliere i copioni?
«Ora sono anche produttrice e il tempo va gestito. Continuo a pensare che essere attrice non sia un lavoro, ma un lusso: cerco di fare solo quello che mi piace. Nel 2010 apparirò in un nuovo film, ma non dico niente. Per scaramanzia».
Nel 2002 assaggiò Hollywood recitando accanto a un’icona del cinema Usa, Schwarzenegger: è stata un’esperienza una tantum?
(sorride) «Un’esperienza che andava fatta. È stata una giostra. Io mi sento un’attrice europea, e per vincere a Hollywood devi viverci».
Recitare con Schwarzenegger non le ha cambiato la vita...
«Direi proprio di no».
E la tv? Dieci anni fa con Celentano in «Francamente me ne infischio», poi più nulla. Non ama la tv?
«Non la sento il mio mondo. Per funzionare in tv devi essere spontaneo in diretta. Non è nelle mie corde. Allora mi convinse Celentano. La tv mi intimidisce molto, lo ammetto».
Suo marito, Claudio Amendola, in tv ci sta da pascià: è una star della fiction coi «Cesaroni».

Lei apprezza la fiction o la giudica cinema di serie B come fanno molti?
«Ah be’, Claudio in tv va a nozze. Non solo nella fiction. Lui riesce ad essere se stesso, lo invidio. Se amo la fiction? Dipende dalla fiction, comunque no: non rinuncerei però a prescindere a una proposta, a una bella storia e un bel personaggio».

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