Politica

«Senza legge elettorale salta la maggioranza»

Fabrizio De Feo

da Roma

Un ultimatum sulla legge elettorale? «L’ho letto sui giornali questa mattina...». Silvio Berlusconi non conferma e non smentisce l’ipotesi di un aut aut secondo cui o passa il ritorno al proporzionale o si va al voto anticipato. Il premier, però, si affida a una semplice equazione politica per far capire che l’ipotesi del «tutti a casa» non è affatto peregrina. «È chiaro che se non passasse la riforma non potranno non esserci conseguenze sulla maggioranza». Una tesi, quella del possibile «rompete le righe», che viene sposata in pieno anche da Gianfranco Fini, a conferma di un asse con il premier che resiste più solido che mai. «È difficile contestare che se non si approva la legge elettorale ci sarebbero conseguenze politiche adeguate» conferma il leader di An.
Berlusconi, comunque, non vuole che questi scenari di rottura prendano corpo. E non teme franchi tiratori nel suo partito. Per questo risponde nel dettaglio alla tempesta di critiche sollevata dall’Unione. E ribalta il discorso, sottolineando limiti e controindicazioni dell’attuale sistema. «La riforma messa a punto dalla Cdl è la più democratica che ci può essere. È quella applicata in Germania. C’è un premio di maggioranza, cioè una garanzia di governabilità per far sì che la parte che prevale possa avere quel minimo di numeri per governare. Non si verificherà più quello che è successo nel ’96 quando vincemmo con 350mila voti e invece, per il sistema maggioritario che è una forzatura tecnica, vinse la sinistra». Berlusconi annuncia che proporrà agli alleati «liste bloccate senza preferenze».
C’è un nodo, però, che il presidente del Consiglio sa di dover sciogliere: far digerire ai parlamentari della Cdl e di Forza Italia eletti nei seggi blindati del Nord e della Sicilia l’indigesta novità. «C’è l’assoluta garanzia, per chi ha vinto nei collegi con un margine importante nel 2001, di avere un posto certo nelle liste individuate dalle segreterie dei partiti. In queste liste ci sarà certamente un ordine che sarà determinato dal divario tra chi ha vinto e il suo competitore». La «rassicurazione» del premier, pronunciata a uso e consumo dei suoi parlamentari, fa il paio con quella che segue da lì a poco sulle intenzioni del Carroccio. «Resistenze dalla Lega? Non mi risulta. Del resto Calderoli è uno dei protagonisti della messa a punto di questa legge elettorale». Il premier indossa fino in fondo i panni del pompiere. Ed evita di cadere nella «trappola» dei giornalisti che lo sollecitano a esprimere giudizi su Marco Follini, anche se «la sua posizione nell’Udc è ora meno determinante». Il premier sigilla le labbra con le dita. E ai giornalisti che lo incalzano risponde solo: «Voi sapete bene che ai tempi delle televisioni ero un grande battutista. Ora non posso farlo ma non me lo ricordate sennò mi fate soffrire troppo...».
Il premier parla a Montecitorio, dove presenzia al dibattito sulla violenza negli stadi. In giornata, però, si susseguono i colloqui in un pranzo di lavoro a Palazzo Chigi con Giuseppe Pisanu, Claudio Scajola, Paolo Bonaiuti, Elio Vito e Renato Schifani. In serata, poi, in una riunione con deputati e senatori di Forza Italia, torna a «motivare» le sue truppe parlamentari. Il premier non nasconde la realtà e rivela che dal 2001 Forza Italia perde tra gli 8 e 10 punti percentuali, scendendo dal 30 al 22%. Un crollo che il premier spiega con «la disponibilità avuta verso gli alleati che ci hanno messo la camicia di forza. Io ho ingoiato tutto per senso di responsabilità. Con l’Udc abbiamo avuto enorme pazienza. E non è vero che io abbia definito metastasi i centristi». Ma subito dopo c’è lo scatto di orgoglio e di ottimismo: «Con il proporzionale Forza Italia tornerà al 30%. Se non passerà non ci sarà più maggioranza e non ci sarà più un’alleanza con l’Udc. Follini, comunque, rappresenta una minoranza. Dobbiamo essere uomini, facciamo un patto di lealtà. Chi non è d’accordo con quello che ho detto si alzi e lo dica, ora». Nella sala della Regina non si alza nessuno, ma anzi si leva un applauso. Poi nel mirino entra il leader dell’opposizione. «Ho visto il programmino di Prodi. È pieno di banalità e sostantivi astratti. La sinistra è unita solo quando deve attaccarmi». Il premier promette che «non ci saranno candidati di serie A e B e ciascuno avrà il collegio del 2001, quindi non c’è ragione di schierarsi contro il proporzionale». L’attenzione, però, va soprattutto ai risultati ottenuti: «Abbiamo gestito i conti pubblici anche con fantasia e questo è un merito. rilanciato l’Italia sul piano internazionale; è stata data stabilità di governo; è stato mantenuto il contratto con gli italiani e realizzato l’80% del programma; non è mai stato scelto un manager in base a una tessera di partito».

E non dimentichiamo che oggi «31 milioni di italiani pagano meno tasse».

Commenti