«Senza nuove regole non si esce dalla crisi»

L’economista Mario Deaglio: «Difficile che il G8 trovi soluzioni, da sempre è un’istituzione inefficace. Serve più capacità di controllo sui prodotti finanziari»

da Milano

Nel giugno scorso, con il saggio «La resa dei conti», aveva già messo il dito nell’occhio del ciclone finanziario. Da allora, la situazione è precipitata, ma Mario Deaglio, professore di economia internazionale dell’università di Torino, non cambierebbe nulla di quanto scritto. «Ribadisco: questa è una crisi di sistema, irrisolvibile se non si cambiano le regole. Non si tratta più di bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: il bicchiere è rotto e va sostituito».
Professore, da chi è stato rotto il bicchiere?
«Oggi si vuole a tutti i costi trovare un colpevole da impiccare al pennone della nave, ma un solo responsabile non c’è. Il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ha detto che le banche - non quelle italiane, sia chiaro - hanno fatto finanza parallela: una cosa gravissima. Si confidava in una capacità di autoregolazione del mercato che invece non c’è stata. E di sicuro, le nuove forme di finanza si sono rivelate fragili e scarsamente controllate».
Gli organismi di vigilanza sono, infatti, sul banco degli imputati...
«In molti Paesi l’azione di controllo si è rivelata una farsa».
Si riferisce agli Usa?
«Negli Stati Uniti la Federal Reserve non ha il potere di vedere cosa c’è dentro i bilanci delle banche. Più in generale, c’è un problema di scarsa conoscenza dei più recenti strumenti finanziari che ha ostacolato l’attività di monitoraggio. Già nel giugno 2007 la Bri si chiedeva: dove sono i titoli pericolosi? E si dava questa risposta: non lo sappiamo».
L’intervento in pool delle principali Banche centrali non ha sortito l’effetto di riportare il sereno sui mercati: come mai?
«Difficile dirlo. È ovvio che l’intervento concertato non è risolutivo, ma il coordinamento dimostrato è un buon segnale. La reazione delle Borse si potrà meglio valutare nei prossimi giorni».
Non è che le Borse hanno considerato la mossa tardiva?
«Le Banche centrali non hanno il monopolio della verità. La crisi ha tali connotazioni di novità da aver colto tutti impreparati».
A maggior ragione la Bce, che nel luglio scorso aveva alzato i tassi nel timore di un surriscaldamento dell’inflazione?
«In tre mesi la situazione è profondamente cambiata. Anche sotto il profilo geopolitico: i timori di una guerra in Iran sono per esempio rientrati. Inoltre, i raccolti cerealicoli sono stati ottimi. In luglio questi due tasselli mancavano, e le previsioni erano di un autunno rovente sul fronte dei prezzi».
La prossima settimana potrebbe riunirsi un G8 d’emergenza. Non c’è il rischio che il vertice si trasformi in un boomerang in assenza di misure concrete per arginare la crisi?
«Il pericolo c’è, eccome. Il G8 è da sempre un’istituzione inefficace, condizionata da troppi veti. Basti pensare all’esclusione della Cina, il primo Paese mondiale per riserve, imposta dagli Usa. Da otto anni si parla di una riforma, ma finora non è successo nulla.

Ho l’impressione che la tanto invocata nuova Bretton Woods non uscirà da questo G8, e che ogni area economica si darà strumenti propri per affrontare l’emergenza».
L’Europa lo sta già facendo, con i Paesi membri che si muovono in ordine sparso.
«Da 50 anni ci comportiamo così. Ma siano sempre riusciti ad andare avanti».

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