«Senza la riforma del Polo salta tutto»

Cazzola: non si può confondere l’aumento dell’età con l’intervento sui coefficienti

da Roma

Professor Cazzola, cerchiamo di mettere ordine. C’è rapporto fra «scalone» (innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni nel 2008, ndr) e revisione dei coefficienti di trasformazione?
«Lo “scalone” agisce sulle pensioni d’anzianità, opera nel vecchio sistema retributivo e fa risparmiare a regime 9 miliardi l’anno. Invece, la questione dei coefficienti agisce sul contributivo. I primi effetti ci saranno quando andranno in pensione i primi lavoratori con il sistema misto retributivo-contributivo, a partire dal 2015. Dunque, nell’immediato non c’è un risparmio».
I sindacati, comunque, non vogliono né il mantenimento dello «scalone» né la revisione dei coefficienti.
«I sindacati vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Sostanzialmente vogliono cancellare la riforma fatta per la fase di transizione dal sistema retributivo a quello contributivo per tornare ai vecchi requisiti (57 anni di età e 35 di contributi, ndr). Allo stesso tempo non vogliono far entrare in vigore una parte della legge Dini di cui i coefficienti sono uno dei profili essenziali».
I sindacati possono avere voce in capitolo?
«La revisione dei coefficienti di trasformazione non è materia di trattativa sindacale. La legge prevede che le organizzazioni sindacali siano sentite, ma l’operazione è essenzialmente un fatto tecnico. Tutte le proiezioni sulla futura spesa pensionistica, infatti, tengono conto degli effetti delle revisioni decennali. Se i coefficienti dovessero essere aboliti o manipolati con un pateracchio consociativo, sarebbe intaccata la sostenibilità del sistema nei prossimi decenni».
Ma che cosa sono in realtà?
«Sono un valore percentuale corrispondente all’età del pensionamento e compreso in un range flessibile da 57 a 65 anni in modo da penalizzare gli esodi anticipati e premiare quelli ritardati. Questi valori sono ragguagliati ai tassi di mortalità e devono essere rivisti ogni dieci anni. Le percentuali definite nel 1995 dovrebbero subire una decurtazione di circa il 6% a 57 anni fino all’8% a 65 anni. In proposito, si è fatta strumentalmente della confusione. Non saranno le pensioni a subire una diminuzione di questa misura, ma i moltiplicatori. Quindi, la riduzione del coefficiente sarà di qualche decimale e l’effetto sulla pensione trascurabile».
Spesso si imputa al governo Berlusconi di non aver provveduto alla revisione?
«Solo i disonesti possono accusare d’inadempimento il governo Berlusconi per non aver compiuto nel 2005 la revisione dei coefficienti al primo appuntamento decennale. La riforma Maroni del 2004 si muoveva su una diversa prospettiva: elevare in modo obbligatorio l’età di pensionamento minima. In tale contesto, la logica dei coefficienti non aveva più lo stesso significato precedente».
Lei ha una proposta?
«Se si vuole superare lo “scalone”, basta spalmarlo nell’arco di alcuni anni. Ma gli obiettivi della riforma Maroni (61-62 anni d’età pensionabile per i dipendenti e 62-63 per gli autonomi, ndr) sono irrinunciabili.

L’innalzamento dell’età pensionabile è la ricetta più sicura non solo per la sostenibilità economica, ma anche per garantire trattamenti migliori. Chi andrà in pensione nel 2040 con 65 anni di età e 40 di versamenti avrà copertura analoga a quella percepita oggi a 60 anni con 35 di contributi».

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