C on tutte le giustificazioni che si possono trovare, e che in parte ci sono, vedere mercoledì sera il debutto dellInter in Champions League è stato deprimente. Perché da una squadra che porta lo scudetto sulla maglia, da una squadra che ogni anno aumenta e migliora la propria rosa, ci si aspetta, inevitabilmente, una maturazione psicologica, una maggiore consapevolezza nei propri mezzi, unassuefazione agli impegni difficili. Anche perché dallaltra parte del terreno di gioco non cerano né il Barcellona, né il Manchester United, né il Milan campione in carica. Cera soltanto il Fenerbahce, buona squadra turca, con qualche buon giocatore e con un allenatore, Zico, che da tecnico non può certo vantare le medaglie conquistate da giocatore.
E invece in campo si è vista quella che ormai viene definita la «solita» Inter, cioè una squadra incapace di imporre il proprio gioco allavversario, incapace di costruire palle gol, incapace di contenere senza danni gli attacchi avversari.
Sicuro, mancavano pedine importanti in difesa e a centrocampo, ma la ricca rosa messa a disposizione da Moratti dovrebbe servire proprio a superare in modo brillante queste situazioni. No, purtroppo non è - o quanto meno non è solo - una questione di chi va in campo o di gambe. Il problema è la testa con cui si va in campo. Non a caso, il giocatore su cui si nutrivano più dubbi, Rivas, è stato uno dei migliori. È che lInter non riesce a togliersi di dosso certe paure, certe insicurezze, certi complessi che si trascina appresso da anni. Lo dimostra il fatto che quando va in svantaggio invece di compattarsi e di reagire - come fanno le grandi - si sfalda ulteriormente.
E non è solo una questione di Champions; le amichevoli estive sono state un calvario, la Supercoppa pure e lavvio del campionato non è stato esaltante.
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