«Servo ai milanesi piatti e ricette degli antichi romani»

A che pro inseguire mode culinarie esotiche quando esiste un immenso passato remoto da riscoprire? Una domanda che deve aver fatto scattare la molla ad un ristoratore pugliese emigrato a Milano 40 anni fa e che ha da poco lanciato la prima «osteria archeologica» nella zona di Porta Venezia. Anni di ricerche nelle biblioteche e sui testi storici, consultazioni di immagini archeologiche, la tradizione orale dei padri latini (da Catone a Plauto) e poi tanta, tanta pazienza. Ma alla fine, l’esperimento di Peppino Cusmai da Trani, titolare dell’osteria della Luna Piena di via Lazzaro Palazzo 9, sembra aver centrato l’obbiettivo. «I miei clienti, vecchi e giovani, ormai pretendono che abbia tutti i giorni sul menù i piatti dei nostri avi, che io ho riprodotto cercando di rispettare il più possibile la tradizione e riadattandoli ai nostri gusti». Qualche esempio? Il vino «gustaticium», che nell’antica Roma era un aperitivo che si beveva a digiuno prima del pasto, mescolato con miele (mulsum) per alleggerire le parti acidule. «In genere lo servo come vino da dessert per accompagnare un’altra specialità sempre presente nel mio menù: il Savillum, le celebri frittelle decantate da Catone». Peppino Cusmai ripercorre passo passo la ricetta del «Censore» che prevede un impasto con formaggio fresco (preferibilmente ricotta romana o pecorino), farina, miele e uovo; a cottura ultimata il Savillum viene cosparso di miele, spolverizzato con semi di papavero e ripassato in forno. Poi servito con una marmellata di fichi, datteri e uvetta. Ma la sua ricerca delle origini della cucina meditteranea si allarga anche alle altre province dell’Impero. E allora ecco riesumati i «Lasanos», ovvero l’antica lasagna che preparavano i fenici, oppure lo stufato di Plinio cotto due volte nel vino al miele e servito a cubetti perchè i romani amavano degustare tutto usando due dita, pollice e indice.

«Ho fatto anche qualche scoperta, ad esempio che già Giulio Cesare amava mangiare maccheroni di farro che venivano essiccati al vento e prendevano il nome di beati. Li prepariamo in casa e li proponiamo in alternativa alle nostre orecchiette».

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