«Seven Swords? Lotta e lealtà come in un western americano»
1 Settembre 2005 - 00:00Il regista cinese Tsui Hark spiega la filosofia «wuxia» che ha ispirato il film dapertura della Mostra
Maurizio Cabona
da Venezia
«Nella cultura wuxia, larma è la spada. Brandendola, il guerriero diventa tuttuno con lei e assume unidentità a parte; la lama prende vita e spirito».
Parola di Tsui Hark, produttore, sceneggiatore e regista di Seven Swords («Sette spade»), che ieri ha inaugurato - fuori concorso - la Mostra di Venezia da una prospettiva antagonista rispetto a The Terminal di Spielberg, visto in apertura delledizione del 2004.
Al posto dellapologia dello sradicamento spielberghiano, in Seven Swords cè la difesa dellidentità; al posto del piagnisteo spielberghiano, cè il combattimento; al posto di un non-luogo (laeroporto) per sfondo e di un apolide per protagonista, ci sono i valori di sangue e suolo. Per vederli esaltati al cinema, occorre ormai un film cinese. Anche hongkonghese come questo, da quando Hong Kong è tornato alla madrepatria.
Questo dicono i fatti. Il resto lo dice Tsui Hark. Ha cinquantasei anni, è nato in Cina, ma è cresciuto a Saigon, nel quartiere cinese di Cholon, fra la guerra francese e la guerra americana per dominare lIndocina. A Tsui Hark - brizzolato, baffi, pizzo sul mento, camicia bianca dalle maniche arrotolate, pantaloni neri, scarpe sempre nere con insolita e vistosa lampo frontale - è rimasto il ricordo delle angherie dellesercito e della polizia dellallora Vietnam del sud, che percorre A Better Tomorrow III, da lui prodotto e diretto (il primo Better, prodotto da Hark, ma diretto da John Woo, è in edicola con Ciak).
Signor Hark, lei non ha dimenticato.
«Non ce lho coi vietnamiti, ma la guerra favoriva la corruzione. E poi esercito e polizia erano ligi alla Cia».
Anche Seven Swords parla di guerra, corruzione, invasione allavvento della dinastia Ching nel 1660. Lei sispira al romanzo di Liang Yu-Shen...
«...Di cui ho lasciato inalterato solo il titolo. Il romanzo è di circa cinquantanni fa. Era uscito a puntate su un quotidiano di sinistra di Hong Kong, facendo crescere le vendite».
I personaggi coreani...
«...Li ho inventati io».
E perché girare al confine coreano?
«Perché quella era unarea contesa».
Lo è ancora. Non allude al presente?
«Occorre?».
Il titolo rimanda ad altri film col sette.
«In Cina è un numero fortunato, che poi consente inquadrature col protagonista al centro, tre comprimari a destra e tre a sinistra».
Ognuno spiega il termine wuxia a modo suo. Per lei è...
«Una parola composta da "wu", lotta, e "xia", stato danimo».
Dunque?
«Un film wuxia per i cinesi è quello che per i francesi è un film di cappa e spada. E per gli americani un western».
Che pubblico ha il wuxia in Cina?
«Una volta operai, contadini e ragazzi. Oggi tutti».
Come si distingue un film wuxia da un film di kung fu?
«Questultimo è un genere nato coi film di Bruce Lee meno di quarantanni fa. E non prevede spade».
I suoi eroi uccidono chi aiuta linvasore. Allude allIrak?
«Chissà... Presupposto del wuxia è la lotta leale. Che sia del buono o del cattivo, la vittoria ha anche un sapore amaro».
Bello linizio in bianco e nero macchiato di rosso.
«Che in Cina è il colore della festa».
Non del sangue? A proposito, ne cola poco dai colli mozzi.
«Non volevo essere truculento».
Nella Mostra del 2000 lei aveva Time and Tide, sulla delinquenza a Hong Kong. Non cè genere da cui lei si astenga.
«Come altri registi, cerco sempre di fare il film che non è ancora stato fatto e che mi piacerebbe vedere».
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