Politica

La sfida di Fini: sarà premier chi ha più voti

Massimiliano Scafi

da Roma

Il candidato premier? «Quello lo indicheremo subito perché il programma va presentato quando saranno sciolte le Camere. E sarà Silvio Berlusconi». Il presidente del Consiglio invece, dice Gianfranco Fini, quello no, non verrà deciso prima, ma «sarà scelto dagli italiani: a Palazzo Chigi ci andrà il leader del partito che ha preso più voti». Il ministro degli Esteri dunque si butta nella mischia. «Berlusconi ha lanciato la sfida e io la raccolgo, visto che lo ha fatto pure Casini. Insomma, andiamo al proporzionale con le nostre liste e a quel punto le primarie le faranno gli elettori. E io auspico di ottenere sufficienti consensi per chiedere alla coalizione di valutare l’ipotesi che io sia il primo ministro». Davvero spera di battere il Cavaliere? «Sarà una competizione leale con il mio alleato - risponde - ma non rinunciataria».
Fini quindi ci prova, e questo sarà uno degli effetti del proporzionale. Prima però la Cdl, oltre alla legge elettorale, deve riuscire a varare anche la devoluzione. «Bisogna superare il modello centralistico - spiega Berlusconi -, che è un sistema costituzionale obsoleto, costoso e inefficiente, e occorre portare a termine le riforme con la necessaria determinazione e prudenza». Il presidente del Consiglio parla durante la cerimonia dell’insediamento dell’avvocato generale dello Stato Oscar Fiumara, davanti a Carlo Azeglio Ciampi e ai massimi vertici della Repubblica. «Oggi - sostiene - la complessità del sistema di garanzie istituzionali rende particolarmente difficile l’azione di governo e lo mette in svantaggio rispetto agli altri Paesi europei. Vi è una sproporzione fra la responsabilità del governo e i poteri attribuiti».
La riforma, insiste Berlusconi «è basata sul principio della sussidiarietà» e ha come scopo «un sistema armonico». E non vede pericoli di bilanciamento: «Senza uno Stato centrale forte non ci può essere uno Stato federale forte. Io sono fermamente convinto che il decentramento e il progressivo ritirarsi dello Stato dalla sfera economica garantiranno la sua neutralità ma non faranno venir meno il ruolo di difesa degli interessi dei cittadini. Vanno garantiti soprattutto quelli dei più deboli. E come insegna la dottrina della Chiesa, il bene comune è diverso dalla somma degli interessi particolari».
La devoluzione sembra dunque quasi in porto, ma la Lega fa ancora pressing. «Il Senato l’approverà prima ancora delle riforma elettorale - prevede Roberto Calderoli -. Non è una questione di scambi, perché i due testi sono perfettamente complementari, ma di tempi. La devolution è già al quarto passaggio». La riforma proporzionale, dice il ministro, richiede invece qualche limatura: «Il testo non è blindato. Attendiamo di vedere le proposte dell’opposizione, di sapere se sono migliorative». C’è ancora spazio qualche intesa? «È vero che Berlusconi ha detto che non c’è più tempo, però ci saremmo aspettati che l’Unione chiarisse i suoi orientamenti, invece fanno solo chiacchiere».
A Palazzo Madama il centrosinistra farà muro. «C’è assoluta continuità tra la strategia usata alla Camera e quella che adotteremo al Senato», annuncia Romano Prodi al termine del vertice dei capigruppo. Ostruzionismo? Emendamenti a valanga? Proposte mirate? «Un gruppo tecnico sta lavorando alla tattica da seguire», dice il Professore. I verdi vogliono cavalcare la questione dell’incostituzionalità della legge, Piero Fassino consiglia prudenza, perché è improbabile che Ciampi rinvii alle Camere la legge, e chiede «compattezza». Unica cosa certa, aggiunge Clemente Mastella, è che «ci sarà battaglia».

E l’Udeur, è ancora convinta di votare sì? «Vedremo».

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