da Roma
Alleanza nazionale non c’è più. Anche se la sua fine verrà certificata solo tra qualche mese, per l’esattezza in autunno, quando confluirà ufficialmente nel Popolo della Libertà insieme a Forza Italia. Gianfranco Fini, dunque, conferma la «svolta» e porta la destra nel Pdl senza apparenti scosse ma anzi con grande entusiasmo da parte del partito. Tutto dovrà passare al vaglio del congresso in autunno, quando, spiega Fini, «verranno stabilite le tappe e le regole che porteranno a un soggetto unico». Ma intanto il leader di An dice a chiare lettere che la via è quella del Pdl «che è il centrodestra italiano, la costola italiana del Ppe europeo, non certo solo un accordo politico elettorale ma un soggetto politico unico, per la prima volta nato per volontà del popolo sovrano e non da fusioni o scissioni».
Così, senza alcuna tristezza, Fini si porta dietro un partito entusiasta di questa nuova avventura, convinto dal suo leader che «l’identità non si difende conservando un simbolo grafico, ma è fatta di valori che si traducono in programmi». «E i valori delle destra - rassicura il presidente di An - saranno pilastro del programma del Pdl. Sono i valori di Fiuggi, gli stessi del Ppe». Proprio per questo, nel giorno in cui di fatto scioglie Alleanza nazionale, Fini lancia la sua stilettata a Pier Ferdinando Casini, che in contemporanea annuncia da Mestre la sua corsa solitaria e dice al Cavaliere «non tutti sono in vendita». «Trovo incomprensibile che l’Udc non contribuisca a questo progetto: la sua è una scelta sbagliata, dettata da valutazioni opposte all’interesse generale e degli elettori moderati che Casini dice di voler rappresentare», lo boccia Fini. E comunque si vincerà e si governerà «senza dar vita ad alleanze di altro genere, perché le alleanze si fanno prima del voto». Il leader nega che da An siano venuti veti all’apparentamento con l’Udc, anche se poi precisa: «Se Forza Italia e An hanno accettato di fare a meno del simbolo, non si poteva fare eccezione consentendo all’Udc di mantenere identità e autonomia».
Il capo dell’Udc, però, finisce anche nel mirino dei colonnelli di An. A cominciare dal portavoce Andrea Ronchi: «Dispiace che abbia fatto una scelta di questo tipo, del tutto sbagliata, perdendo l’occasione di realizzare il grande partito di centrodestra moderato». «Il problema non è essere in vendita o meno - attacca Alemanno - ma essere secondi o terzi in un progetto politico. Ed il vero problema di Casini è che il Pdl nasce sull’asse Berlusconi-Fini». E La Russa: «Conoscete la favola di Fedro “La volpe e l’uva?”. Nondum matura est...». Casini però non è l’unico bersaglio dell’intervento di Fini. C’è il partito di Francesco Storace: «Non sarà un simbolo grafico scopiazzato a determinare confusione negli elettori di An». E c’è il Pd di Walter Veltroni, altro argomento della giornata: «Un bluff, non il nuovo ma il nuovismo, il buonismo fino a sè stesso, politica stantia, culturalmente vecchia, che scopiazza gli slogan di Kennedy ed Obama». E il programma? «Una fotocopia di ciò che il centrodestra propone ed ha realizzato, a partite da infrastrutture, meno tasse e pacchetto sicurezza. Ma gli italiani non preferiranno all’originale la fotocopia».
Nel pomeriggio la direzione di An chiude la sua riunione con un sì unanime all’ingresso nel Pdl, convinta che non sarà un grande partito di centro con una destra accessoria. Veramente nessuno parla in dissenso. Tutti i colonnelli, da Ronchi a Gasparri e La Russa, elogiano anzi il «coraggio» del leader nel prendere decisioni, nel governare la direzione della nave di An. E se mugugni ci saranno, per La Russa sarà fisiologico: «C’è stato chi ha detto che il Msi tradiva il fascismo, che An tradiva il Msi, si dirà ora che il Pdl tradisce An...». Fini convince, spiegando che il Pdl ha le sue radici «già nel partito di sintesi che nacque con la svolta di Fiuggi» ed è coerente con quel bipolarismo compiuto cercato da An con l’appoggio a ben due referendum. Cosa è cambiato rispetto al «no» a Berlusconi a piazza San Babila? «Tutto - assicura Fini - perché non ci si chiede di annetterci, ma di scrivere insieme liste, programmi, regole». All’epoca c’era un governo e ora non c’è, all’epoca non si sapeva se sarebbe stato ammesso il referendum, come poi è accaduto.
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