La sfida del Milan d’esportazione Si gioca tutto lontano da San Siro

nostro inviato a Milanello

A fari (quasi) spenti, il Milan è diventato una squadra d’esportazione. Ecco i numeri che confermano in modo solenne l’ultima vocazione del Diavolo tentatore: 7 i successi esterni guadagnati dai berlusconiani, una sola sconfitta, a Udine datata 23 settembre, una vita fa insomma, tre invece le cadute sul prato di San Siro, due, rovinose, nel derby che hanno lasciato un segno, una col Palermo, a dicembre, col gruppo spolpato dalla rincorsa. Che c’entra? C’entra, eccome. Perché la tendenza è ribadita anche dal ruolino di marcia in Champions dove il Milan è riuscito nell’impresa di sbancare prima il Bernabeu e poi Marsiglia, senza riuscire a fare meglio nelle sfide domestiche (due pareggi, stesso risultato 1 a 1).
Con un Milan così, affrontare il bivio della stagione, in due viaggi impegnativi, il primo a Roma, il secondo a Manchester, nel giro di quattro giorni, potrebbe essere una pacchia e invece no. Non è una pacchia ma una spinta ad affrontare senza timori il giudizio universale: dall’esito di questi due trasferimenti può dipendere tutta la stagione del Milan. «Dobbiamo affrontare la Roma mantenendo intatto il nostro stile di gioco, io non penso a un risultato diverso dalla vittoria» è l’osservazione di Leonardo informato forse del ritardo maturato dal Milan nelle sfide all’Olimpico contro la Roma. L’ultimo blitz rossonero è addirittura ricoperto dalla polvere del tempo: risale a 5 anni fa, marzo del 2005, Ancelotti sulla panchina occupata ora dal suo discepolo. Proprio di Carletto, che è un osservatore accreditato delle vicende milaniste, è la chiosa più interessante sul conto del nuovo Milan. E non riguarda certo la mutazione genetica, cioè il passaggio da armata nelle sfide milanesi, a ciurma di pirati negli assalti alle altrui imbarcazioni. «Mi ha impressionato la sua capacità di riprendersi dopo la “botta” presa nel derby» è il complimento dell’ex precettore di Milanello.
È già successo un paio di volte. Il Milan si è rialzato dopo ogni caduta rovinosa: in seguito ai due derby, per esempio, dopo aver incassato quel cazzotto nello stomaco da Rooney e Manchester United. E lo ha fatto nonostante fosse a ranghi ridotti, con assenze decisive, Seedorf oppure Nesta, con Pato fuori (potrebbe andare in panchina a Manchester) o Abbiati e Borriello ai box, senza Zambrotta fuori uso dall’inizio del 2010. In quest’ultima frazione di torneo, per esempio, ha realizzato il record dei gol segnati, 23 contro i 18 messi a segno dalla Roma di Ranieri, uno che a casa Leonardo può anche evocare una terribile scoppola subita in coppa ai tempi di Valencia-Napoli. «Prendemmo 5 gol da Fonseca, e in panchina avevamo Guus Hiddink» rievoca Leo che non è il tipo da temere macumbe di sorta. «Stiamo bene nelle gambe e nella testa» è la sua garanzia.
Piuttosto nessuna meraviglia se nel frattempo, il Milan ha deciso di lasciare a casa Mancini, il grande ex atteso con curiosità all’Olimpico: i lavori per rimetterlo in sesto dal punto di vista fisico hanno prodotto un affaticamento muscolare. Al suo posto ci sarà Beckham che da ala non ha fornito finora performances particolarmente efficaci. Senza il Papero, il Milan che viaggia comodo, è sempre più legato alle imprese balistiche di Ronaldinho, escluso dal mondiale per mano di Dunga, e pronto a rifarsi col Milan. «Non penso che la scelta del Brasile possa pesare sul suo umore» è la convinzione di Leonardo.

Proprio Dinho, nel gennaio del 2009 giocò a Roma la prima partita dell’anno: fu l’ultima da titolare con Ancelotti che gli riservò solo spicchi di sfide. Sembra passato un secolo, rigori a parte (3 gli errori in serie del Gaucho).

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