Cronache

La «sfortuna» di Giuliani non merita monumenti

Il dibattito sull’intitolazione di una via di Genova a Fabrizio Quattrocchi riscuote sempre maggiore interesse tra i nostri lettori. Uno di loro, Vincenzo Falcone, nei giorni scorsi aveva voluto ribattere alla professoressa Isabella De Martini che, criticando il parallelismo fatto dal sindaco tra Quattrocchi e Carlo Giuliani, aveva definito il no global un «ragazzo sfortunato». Ecco la risposta della professoressa De Martini.

Caro Vincenzo Falcone, la ringrazio moltissimo per l’attenzione che Lei riserva ai miei articoli, arrivando al punto di analizzare ogni singola parola. Mi seguissero così i miei studenti all’Università prenderebbero tutti 30 e lode agli esami, ed anche io imparerei ogni volta qualche cosa! Lei, vocabolario alla mano, ha insegnato a me, e a tutti gli altri lettori, il significato della parola «sfortunato», e si è, come dire, «risentito» (spero di avere scelto la parola giusta), che io abbia accostato questo aggettivo al giovane Carlo Giuliani, ucciso (per errore?) durante gli scontri del G8. Secondo Lei io sarei stata troppo «tenera» nei confronti del ragazzo, e Lei avrebbe desiderato un termine più severo. Non posso essere d’accordo con Lei, e la invito a rileggere il pezzo, e ad interpretarlo nel suo complesso. Vedrà così che, nell’attribuire un forte significato simbolico di tipo positivo, alle parole di Fabrizio Quattrocchi, tanto da essere favorevole all’intestazione di una strada a suo nome, ho evidenziato come il comportamento di Carlo Giuliani non possa, in alcun modo, essere considerato né simbolico, né coraggioso, e certamente non giustificabile, e quindi mi sono dichiarata contraria a qualsiasi «monumento» in suo onore. Ma da qui, ad infierire su di un ragazzo, morto comunque a vent’anni (non le sembra un po’ troppo presto, anche se per sua parziale responsabilità?) che aveva gravi problemi personali, e quindi presumibilmente un lungo periodo di sofferenza alle spalle, passa una grande differenza.

Vede signor Falcone, io non solo come neuropsichiatra, ma soprattutto come mamma, continuo a ritenere Carlo Giuliani «sfortunato», perché non ha saputo (o potuto) trovare una guida, un appoggio, un sostegno, una critica, e quella dose necessaria di amore, nell’ambito della sua famiglia, che potessero fargli intraprendere una migliore, ed anche più lunga, vita.
Con simpatia

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