Sfortune assortite e momenti surreali È il Festival dei Soliti Idioti

Sfortune assortite e momenti surreali È il Festival dei Soliti Idioti

Basso profilo? Sobrietà? Chiamiamo le cose con il loro nome. Il nome giusto è «sfiga». La esse privativa non le si addice, ma «sfiga» vale per Ivana Mrazova, bloccata (ufficialmente) dalle bizze dell’eburneo collo, direbbe il poeta. Vale anche per il black out che ha lasciato la giuria con un palmo di naso, e con la brutta sensazione d’essere di peso, come un invitato alla festa che nessuno si fila. Vale soprattutto, per il valletto Rocco Papaleo, nome da macho quant’altri mai e cognome da impiegato del Catasto. Vince il cognome, però, che ben s’attaglia a quella specie di spolverino, a quei baffetti chapliniani da vagabondo, a quegli occhi sbarrati sul nulla della platea televisiva, al caschetto di sicurezza da operaio, che non fa mai male.
La «sfiga» ha i capelli ramati della signorina Unattimoesconoscubitodalei, impiegata delle Poste e dell’intero scibile umano, l’«alfa» Biggio dei Soliti Idioti, per una volta dissociata dall’«omega» Mandelli, la quale, compassionevole, in apertura di seconda serata, consola cinicamente il Gianni nazionale rimembrandogli i casini pregressi. Ma che succede? Il già mitico Ruggero De Ceglie alias Francesco Mandelli, il più medio degli italiani, dov’è finito? È in camerino a farsi un fiodena (leggi spinello?).

No, spunta dopo Eugenio Finardi, con la geniale citazione del finto tentato suicidio del figlio, replica di una vecchia gag (sì, era una gag) battezzata da Superpippo ormai un secolo fa. Morandi lo approccia con le molle, ma come potrebbe schivare il «Daicazzzzzooooo!!!» a tutta gola? A suo modo, l’esorcismo della sfiga.

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