Tra pochi giorni avrebbe potuto stringere il figlio
tra le braccia. Invece Donya, 23 anni, di origine egiziana, ha perso
il bimbo all’ottavo mese di gravidanza per distacco della placenta. Non
è il primo aborto per la poveretta, che da due settimane viveva in
un’auto con il marito, dopo essere stata
sfrattata da un albergo di Grosseto di proprietà della Curia, perché
scaduta la convenzione firmata con i servizi sociali del Comune.
La vicenda è ancora più triste perché l’egiziana, che in passato non
era riuscita a portare a termine altre gravidanze, anche questa
volta aveva avuto difficoltà, tanto che i medici dell’ospedale
Misericordia le avevano praticato un «cerchiaggio» a sostegno della
gestazione. Ma due giorni fa un’emorragia le ha portato via il piccolo.
«Nell’ultima settimana i dolori alla schiena di Donya sono aumentati e
lunedì siamo venuti in ospedale racconta Fathy, il marito di 31 anni
- . Gli esami sembravano buoni e dopo un’ecografia le sono state
prescritte alcune medicine. Poi è stata dimessa ». La situazione è
precipitata giovedì. Inutile la corsa in ospedale e il taglio cesareo.
«I medici sono riusciti solo a salvare la vita alla signora -
raccontano dalla Asl 9 di Grosseto - . Ma abbiamo la coscienza a posto:
la paziente era stata presa in carico sia dai servizi territoriali
che dal consultorio. Il distacco della placenta, purtroppo, è
imprevedibile ed è assurdo sostenere una legame tra lo sfratto e
l’aborto. Comunque in queste settimane non avremmo potuto ospitarla in
ospedale, perché non necessitava di ricovero».
La coppia abitava
nella macchina dal 31 maggio, giorno in cui era scaduta la
convenzione tra i servizi sociali e un albergo di proprietà della
Curia che ospitava sei famiglie in emergenza abitativa. «In queste due
settimane ho chiesto aiuto al sindaco, alla Società della Salute,
alla Curia- racconta Fathy - . Due giorni prima dello sfratto avevo
trovato lavoro come pizzaiolo, bastava aspettare e avrei avuto i
soldi per pagare una casa in affitto. Invece ho anche dovuto lasciare il lavoro per star dietro a mia moglie».
La Società della Salute, che a Grosseto si occupa dell’assistenza socio sanitaria respinge le accuse. «Il primo contatto con Fathy, in Italia dal 2005, disoccupato, è avvenuto nel 2010 quando ha presentato domanda per entrare nel programma di emergenza abitativa. Come servizi sociali abbiamo sempre aiutato quella famiglia a pagare le spese». «Fathy nel dicembre 2010 ha avuto accesso a un fondo straordinario di solidarietà per l’emergenza freddodichiara il portavoce del sindaco -. In considerazione del fatto che la moglie era di nuovo incinta, li abbiamo ospitati nel residence Blu Maremma, di Marina di Grosseto eppoi a Casa Betania, della Curia. Abbiamo sostenuto queste sei famiglie fino al 31 maggio, ma erano a conoscenza preventivamente della straordinarietà dell’intervento e si erano prese l’impegno di cercare un impiego. Di più non potevamo fare perché a Grosseto ci sono 105 famiglie che hanno la precedenza nell’emergenza abitativa».
Ma la coppia egiziana non molla ed è pronta a proseguire per vie legali. «Adesso tutto è cambiato - dice Fathy sono tutti gentili con noi. Ma non mi comprano così: voglio giustizia».
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