Chi fosse lo sposo e chi la sposa di preciso non si sa, ma di certo rischiano grosso. E con loro i sedici invitati. Una cosa, però, è sicura, la scelta del luogo per una celebrazione così poco convenzionale non era propriamente felice. Quei diciotto ragazzotti nigeriani in gonna, tacchi e borsetta - con a disposizione le distese dello stato più grande dAfrica han scelto di celebrare le loro belle nozze gay nella fossa dei serpenti, ovvero nel cuore del Bauchi, uno di quegli Stati settentrionali della federazione Nigeriana dove la sodomia è punita con la lapidazione. Certo, lidea era quella di una festa scanzonata e trasgressiva. Nessuno dei diciotto si sognava di rischiare la vita. Avevano prenotato un albergo e ci si erano infilati dentro. Certo larrivo di quella mandria di donnine dai polpacci poderosi, la voce roca e dai seni miracolosamente in crescita non era passata inosservata. Ma lautentico fattaccio, raccontano, si è verificato in quella torrida notte prima della cerimonia tanto desiderata. In quella notte quando tutte le vacche sono diventate decisamente nere nessuno ha distinto uomini e donne, ma tutti hanno ascoltato i latrati di passione, le risate eccitate, il concerto di molle sfondate, le rincorse tra le stanze, il festoso trafelato arrivo di un primo amato e di quello immediatamente successivo.
«Venite, presto, qui è un casino», avrebbe detto il solito vigile bacchettone telefonando alla polizia. Col senno di poi linsonne ospite magari non avrebbe neppure alzato la cornetta. Ma che ne sapeva, in fondo, di chi e cosa si muovesse sotto quelle gonne e nel fragore delle loro alcove. Anche i diciotto strepitanti travestiti a saperlo avrebbero preferito consacrare la notte alla tranquillità delle riflessioni prematrimoniale. Invece è andata come quando limprevisto ci mette lo zampino. E così, quando la polizia bussa alle porte del gaio alberghetto, il «casino» diventa tragedia.
In quel del Bauchi una notte di festa tra ometti agghindati in tanga, gonnellino e reggiseno non è una burla oscena, ma un misfatto da pena capitale. La Sharia, la rigorosa legge islamica reintrodotta nel 2000 parla chiaro. Per i maschietti sodomiti lunica punizione possibile e la lapidazione fino alla morte. Mentre la polizia incomincia a caricarli sul cellulare i diciotto realizzano. Il matrimonio rischia di non farsi né domani, né mai. A spegnere le residue speranze dellormai disperata dozzina e mezza ci si mette anche il signor Malam Tanimu, stimato, ma inflessibile presidente del tribunale islamico. Li squadra dallalto al basso, ascolta disgustato le loro motivazioni, afferra il martelletto, batte tre colpi, semina un silenzio di gelo e ordina di rispedirli in cella. Come dire colpevoli, meritevoli di un processo islamico, di una pena appropriata e, «ça va sans dire», di quella morte crudele regalata straziandoti il corpo pietra dopo pietra.
Certo, non è la prima volta. In passato gli zelanti Stati islamici del settentrione hanno già provato a comminare ed applicare le loro abominevoli pene. La volta più famosa fu quella di Amina Lawal, la ragazza madre dichiarata colpevole di adulterio nel 2002 dalle autorità islamiche dello Stato di Katsina. Il suo caso fecero inorridire lItalia ed il mondo. Un anno dopo il clamore e lo sdegno suscitati dalla vicenda indussero lAlta corte per la Sharia a cancellare la pena. Nessuna delle dozzine di condanne alla lapidazione, tra cui quella inflitta nello stato del Bauchi ad un uomo colpevole di aver adescato e sedotto tre ragazzini, è mai riuscita, ad onor del vero, a superare il riesame della suprema corte islamica. E qualora la pena venisse ratificata, anche a quel livello resterebbe comunque possibile un ricorso alla corte federale dove vige lincostituzionalità della Sharia. La legge islamica adottata dagli Stati del nord, in aperta contrapposizione con il potere centrale, non è infatti mai stata considerata valida dalle autorità federali.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.