Roberto Fabbri
Il terremoto politico israeliano prosegue tra colpi di scena e attivissime «campagne acquisti». L’arrivo alla segreteria dell’Avodà (il Labour dello Stato ebraico) del sindacalista Amir Peretz, un massimalista privo di un’adeguata esperienza politica, ha aperto la crisi del governo di unità nazionale guidato da Sharon, ma ha fatto esplodere anche quella del partito del premier, il Likud, già spaccato dalla questione del ritiro da Gaza. Sharon ha scelto una mossa coraggiosa, considerati anche i suoi 77 anni: ha spiegato di non potere negoziare la pace coi palestinesi e contemporaneamente sprecare energie per litigare con l’ala destra del suo stesso partito, dopodiché lo ha abbandonato e ne ha fondato uno nuovo di zecca, a sua immagine e somiglianza.
Da allora, con le elezioni anticipate a marzo, la battaglia politica è decollata. Sharon ha battezzato ieri ufficialmente la sua creatura Kadima («Avanti»), dopo che le solite «infallibili» indiscrezioni avevano assicurato invece che il nome sarebbe stato «Responsabilità nazionale». Depositate le 140 firme previste dalla legge per la registrazione del movimento, la prima riunione è stata tenuta nell’ufficio del premier a Tel Aviv. Nel frattempo erano già cominciate le migrazioni e le sorprese ad esse collegate. Quattordici deputati del Likud sono trasmigrati nel Kadima, che secondo i sondaggi si avvia a un brillante successo: potrebbe ottenere più di 30 seggi sui 120 della futura Knesset, il Parlamento di Gerusalemme. Hanno seguito Sharon, tra gli altri, il fedele vicepremier ed ex sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert, la ministra della Giustizia Tzipi Livni, quello dei Trasporti Sheetrit, quello del Turismo Hirchenson e quello della Sicurezza interna Ezra.
Al Likud orfano del suo anziano ma irriducibile leader non ne spetterebbero, nella più rosea ipotesi, che una quindicina. Un’imbarazzante mazzata sulle ambizioni dei litigiosi eredi di Sharon, attualmente occupatissimi a contendersi il posto di leader. Favorito sembra essere il capo della corrente di destra Benjamin Netanyahu, contrario ai compromessi accettati dal suo vecchio rivale con i palestinesi e gli americani, in primo luogo al ritiro da Gaza. Ma sgomitano con lui, in una contesa tra radicali ed estremisti, anche l’ex generale e ministro della Difesa in carica Shaul Mofaz, il deputato Uzi Landau e il ministro degli Esteri Silvan Shalom. Le primarie del Likud sono state fissate al 19 dicembre, con eventuale replica al 26 in caso di necessità.
Ma il nuovo partito di Ariel Sharon non attira soltanto i suoi ex compagni di avventura politica. La svolta a sinistra imposta da Peretz rischia infatti di dare il via a una serie di defezioni anche dal partito laburista verso il movimento fondato dal pragmatico premier in carica. Il primo grosso nome ad approdare a Kadima è stato Haim Ramon, ministro senza portafoglio del governo di unità nazionale ed esponente dell’ala moderata dell’Avodà vicino al monumento laburista Shimon Peres. Ramon è stato considerato un traditore, ma lui ha preferito difendere la legittimità della sua scelta sottolineando l’inesperienza di Amir Peretz, concedendosi anche un impietoso paragone tra il neosegretario dell’Avodà e il suo predecessore di qualche anno fa Ehud Barak. «Non è una coincidenza - ha detto sarcastico - che i primi ministri privi di esperienza abbiano portato il Paese alla rovina».
In attesa di vedere se l’esempio di Ramon sarà seguito da altri (e da chi), Peretz può consolarsi del mancato addio di Shimon Peres (anche lui troppo lontano dalle vedute del suo quasi omonimo per trovarsi ancora a suo agio nel Labour) che nei giorni scorsi era parso imminente. Peres, che ha ormai 82 anni, è in fase di riflessione e non esclude a questo punto un ritiro dalla politica attiva: ma anche lui è capace di sorprese.
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