Shel Shapiro l’incantatore suona il rock da Dylan ai Rokes

Un recital di emozioni, monologhi e grandi hit

Nel coinvolgente spettacolo Sarà una bella società (al Teatro Ciak di Milano e poi in tournée) Shel Shapiro canta e porta la croce nel raccontare la storia del rock attraverso la sua lunghissima ed onorata militanza nel rock (da spalla a Gene Vincent al megasuccesso dei Rokes ad oggi).
Nei monologhi incantatori di Shel e nel repertorio scelto c’è la ruvida bellezza del rock vissuto con leggerezza ma anche con determinata volontà di ribellione. Il senso di una battaglia generazionale: non ci fidiamo di chi ha più di 30 anni. E la coscienza sociale? Più che altro era incoscienza, la voglia di un’insurrezione di pensiero e costume. Shel (che ha scritto lo show con Edmondo Berselli), racconta le due facce della medaglia. Quella della scoperta del rock e quella della rockstar che è stato. Quindi rivisita mille stili; il Bill Haley di Rock Around the Clock, l’Elvis di Heartbreak Hotel, il bluesaccio di Baby Please Don’t Go, i Beach Boys di I get Around.
Lo fa di pancia, con la voce sporca e roca del bluesman che non si cura dell’estetica ma dell’emozione. Così canta basso poi si stende nel falsetto, gioca col registro introspettivo poi parte con un ringhio, al di là dello stile e dei cali di voce inventa una tensione lirica che colpisce il pubblico in brani diversi tra loro come Blowin’In the Wind e Please Please Me, Hey Joe e Summertime Blues (splendida interpretazione che unisce Eddie Cochran agli Who) passando per i Pink Floyd.

Poi racconta con ironia la sua vita da star (inaugurazione del Piper, primi posti in hit parade, ragazze a strafottere, copertine sui giornali «e non avevo ammazzato nessuno»), e via con il ricordo - con un pizzico di nostalgia per tutti - sulle note di Finché c’è musica mi tengo su, Che colpa abbiamo noi, È la pioggia che va, Dio è morto che sottolinea le similitudini con «L’urlo» di Ginsberg. Così è chiaro che per Shel la musica è divertimento, comunicazione e coerenza, senza quei pistolotti in politichese cui ci hanno abituato tanti pseudointellettuali di tutte le parrocchie.

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