Politica

Si allarga l’inchiesta, 25 arresti in Pakistan

Operazione a Islamabad alla ricerca dei complici dei 4 attentatori. Scagionato il «chimico» egiziano El Nashar

Luciano Gulli

nostro inviato a Londra

Lahore, Dera Ghazi Khan, Multan, Faisalabad e Khushab. Città note e meno note del Pakistan. È qui che si concentrano le indagini sugli attentati del 7 luglio scorso a Londra. Fonti investigative di Islamabad (che dopo l’11 settembre ha compiuto col presidente Musharraf un’inversione di rotta di 180 gradi, schierandosi con l’Occidente) rivelano che la notte scorsa è scattata una vasta operazione alla ricerca di estremisti che in qualche modo hanno accolto, protetto e guidato i quattro «bravi ragazzi» di Leeds tramutatisi in uomini-bomba. Decine (25 secondo qualcuno, 40 secondo altre fonti) gli arresti, di cui sette a Lahore, capitale del Punjab.
Un pretesto per compiere un’incursione nell’enorme stagno in cui nuotano pesci grandi e piccoli del radicalismo islamico, par di capire; più che un’operazione mirata a cogliere sul fatto gli elementi dell’apparato ideologico-logistico (sui quali le idee sono ancora alquanto confuse) che materialmente progettarono e attuarono gli attacchi sul suolo inglese.
La lente d’ingrandimento degli investigatori è puntata su Karachi, la brulicante megalopoli di 15 milioni di abitanti sul mar Arabico, dove Mohammed Sidique Khan, Shehzad Tanweer e Hasib Hussain sbarcarono nel 2004 per un «corso d’aggiornamento». Qui, secondo il Times, i tre si incontrarono con un personaggio (anche lui nato e cresciuto in Gran Bretagna, credono di sapere le autorità pachistane) che avrebbe curato la loro preparazione ideologica e, per così dire, militare.
Da Karachi, dove avevano trovato ricovero in un ostello fuori mano, i tre avrebbero poi raggiunto Lahore e Faisalabad. A fare gli onori di casa (anche se non è detto che sia stato a lui a organizzare il complotto) fu l’anglo-pakistano Zeeshan Siddiqui. Bel personaggio anche questo, visto che in un collegio di West London che aveva frequentato da giovane, il tipo aveva avuto come migliore amico Asif Hanif, il kamikaze britannico che si fece saltare nell’aprile del 2003 nel Jazz Bar Mikès di Tel Aviv. Ultima tappa del tour pachistano, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, un villaggio del Waziristan (la zona tribale dove si nasconde Osama) in cui l’operazione «Bombe su Londra» prese materialmente corpo.
Dei recenti avvenimenti, e del modo più efficace per contrastare all’interno del mondo musulmano gli aspiranti terroristi che vi pullulano ha parlato ieri Tony Blair con i principali esponenti politici e i leader islamici che risiedono in Gran Bretagna.
Un buon incontro, si direbbe, a giudicare dall’espressione soddisfatta che aveva Blair alla fine, quando ha dichiarato che dai colloqui, in cui si è discusso anche delle leggi antiterrorismo allo studio, è emerso «un notevole livello di consenso».
Chi non è d’accordo, e se non altro ha il coraggio di dirlo a chiare lettere (anche se questo forse gli costerà un’espulsione per direttissima, com’è nei voti) è l’imam radicale Omar Bakri Mohammed, che ottenne asilo in Inghilterra nel 1985 e che da allora non ha fatto che soffiare sul fuoco, definendo gli attentatori dell’11 settembre come «i magnifici 19». Per Bakri Mohammed (di cui non si capisce perché non sia stato afferrato per le orecchie e buttato fuori dal Paese all’indomani di quella vile dichiarazione) responsabili delle bombe di Londra sono nientemeno che il governo e il popolo britannico. «Le bombe sono colpa vostra», titola a caratteri di scatola l’Evening Standard, che ha intervistato il 45enne imam a Edmonton, a nord di Londra, dove vive con moglie e 7 figli. E quale sarebbe stata, di grazia, la colpa del popolo britannico? «Non aver imparato nulla dalla lezione dell’11 settembre e da Madrid. Ma soprattutto rieleggere Tony Blair», è stata la vigorosa risposta dell’imam. Ovvero? «Il popolo britannico - ha spiegato a questo punto con pazienza il chierico, che non abbandona mai la sua papalina bianca, la quale sormonta un volto massiccio incorniciato da una gran barba al cui centro luccicano due lenti da pensatore - non ha fatto sforzi sufficienti per impedire al proprio governo di commettere atrocità in Irak e in Afghanistan. E come se non bastasse ha dato il suo pieno appoggio a Blair quando lo ha rieletto primo ministro».
Dalla scena, per finire, esce invece Magdi El Nashar, il presunto «chimico» che avrebbe aiutato i terroristi a confezionare la bomba. Le autorità egiziane e inglesi si sarebbero convinte.

Il professionista, forse, ha avuto solo il torto di conoscere uno degli attentatori, che gli avrebbe affittato l’appartamento di Leeds (e che venne usato come arsenale in sua assenza).

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