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Si comincia Ma i campioni del mondo non siamo noi?

di Tony Damascelli


È arrivata l’ora. Possibilmente si eviti lo slogan di questo mondiale sudafricano, quel ke nako urlato dalla pupa sul monte che ha già devastato famiglie e singles. È arrivata l’ora di presentarsi al colonnello in pensione, anzi in hotel cinque stelle, Sepp Blatter e ricordargli chi sono i veri campioni del mondo. Non certo i francesi, non certo Patrick Vieira (la pronunzia del suo cognome non prevede l’accento cocoricò francese sull’ultima vocale, essendo il calciatore di nascita senegalese) ma a uno dei nostri, da Cannavaro in giù. Cosa che già Blatter non volle fare a Berlino con la scusa che là, in Germania, il popolo che parla la sua stessa lingua lo avrebbe fischiato e spernacchiato. Qualche creativo della diplomazia ha spiegato che Vieira è africano e dunque il passaggio del testimone ha avuto un significato specifico. Noi avremmo potuto avere un ragazzo africano in azzurro ma il signor Lippi Marcello da Viareggio ha preferito lasciare a casa Mario Balotelli. Sarebbe stato un doppio messaggio, tecnico e politico ma è meglio non infierire, il tipo è permaloso, già è impegnato a controllare i passeggeri a bordo del pullman, figuratevi se poteva perdersi dietro uno dei migliori talenti giovani del nostro calcio.
È comunque l’ora di far capire se ci siamo oppure se in Sudafrica finirà come in Messico nell’Ottantasei. È l’ora di Buffon e di Cannavaro, è l’ora di Montolivo, se c’è batta più di un colpo, è l’ora di Gilardino, insomma è l’ora dell’Italia campione del mondo. A forza di parlarne male o in maniera critica quasi qualcuno si era dimenticato che la squadra da battere è proprio quella azzurra. Si dice che quando abbiamo il passaporto della morte in bocca, di solito, ci rialziamo e scopriamo il gusto bello della vita. Contro il Paraguay sembra allora la partita del dentro o fuori. Eppure è soltanto la prima, non è detto che un eventuale passo sbagliato debba condizionare l’avventura, Sacchi ne sa qualcosa, in America gli capitò di partire male e di andare in finale, così come Maradona che le buscò dal Camerun a Milano e poi si presentò a Roma per la finale contro la Germania.
Meglio stare alla larga da cabale e congiunture felici. Meglio andare al sodo e chiarirci le idee. Nessuno può dire quanto questa nostra squadra valga davvero, quanto pesi alla bilancia dei valori tecnici, quanta nostalgia abbia condizionato le scelte del suo allenatore e quanta ruggine abbia logorato le gambe di alcuni campioni. Incominciare contro un avversario che porta quel nome sembra uno scherzo del destino. Del resto siamo capaci di trasformare in marziani anche ordinari cittadini di periferia ma credo che stanotte saranno i paraguagi a pensare agli italiani e non viceversa. Semmai gli azzurri staranno pensando a loro stessi, agli errori commessi e da non ripetere, come ha detto con sincerità unica Gattuso parlando di se stesso. È un’Italia alla ricerca di un’identità smarrita per crisi generazionale e, anche, per la testardaggine del suo allenatore campione. È, come sempre, la squadra degli assenti, Totti, Cassano, Balotelli, tralasciando Del Piero che, a differenza dei primi tre, fa la riserva anche nella sua squadra di riferimento. Ma deve essere la squadra dei presenti, non ci sono alibi anche se gli infortuni di Pirlo e di Camoranesi hanno condizionato il lavoro e il progetto di Lippi. C’è uno stimolo in più, non soltanto le critiche della stampa e la diffidenza dei tifosi. C’è la gaffe della Fifa, c’è la voglia dello spogliatoio di urlare al mondo che il mondiale è ancora roba nostra e che prima di confidarci finiti dovremo essere sfiniti.
In fondo, come sempre, è l’ora di urlare Forza Italia, già sapendo che qualche anima candida protesterà per il conflitto di interessi. Sono gli stessi che hanno scoperto, a scoppio ritardato, l’Unità d’Italia.

Vediamo se, dopo averlo bruciato e insultato, sventoleranno il tricolore.

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