da Tokio
Si è dimesso ieri a sorpresa il primo ministro giapponese Shinzo Abe. Era in carica di appena un anno. Figlio e nipote di ministri e primi ministri, salito alla carica di premier sullonda dei grandi successi ottenuti dal suo predecessore, Junichiro Koizumi, Abe aveva un grande progetto: riportare il Giappone, armato e attivo, sulla scena della politica internazionale. È scivolato su una serie di bucce di banana che i suoi ministri hanno seminato sul suo cammino - scandali finanziari, dichiarazioni improvvide sulle donne - e soprattutto è diventato lagnello sacrificale del suo partito, il Jiminto (liberaldemocratico) dopo la sconfitta elettorale di luglio.
Abe, che ha 52 anni e che secondo il portavoce del governo sarebbe seriamente malato, è stato il più giovane dei premier nipponici. Ma ai cittadini del Sol levante deve essere apparso assai meno innovativo del suo più anziano predecessore, il grande istrione Koizumi, che non faceva mistero del suo amore per il cinema americano dazione e per Elvis Presley. Abe, no. Il giovane nipote di Nobusuke Kishi, ex premier nel dopoguerra e imprigionato al tempo dei processi contro i militaristi con laccusa di essere un criminale di guerra, aveva puntato molto sulla politica internazionale e su un recupero del ruolo di Tokio allinterno del consesso internazionale.
Motivando la sua decisione in una conferenza stampa televisiva, Abe ha detto che ormai si vedeva nellimpossibilità di mantenere le sue promesse: «Io stesso ero diventato un ostacolo alla realizzazione di queste promesse».
Abe ha citato i suoi inutili tentativi di avere un incontro col leader del Partito democratico giapponese (Minshuto), il principale dellopposizione, per discutere del dibattito aperto martedì alla Dieta sul prolungamento della missione navale di sostegno ai contingenti americani in Afghanistan.
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