MilanoÉ morto alle sette e mezza del mattino, in un letto dellospedale che lui stesso aveva immaginato, voluto, realizzato e governato. Don Luigi Verzè, racconta chi gli è stato vicino negli ultimi istanti, non ha mai perso la lucidità. Sapeva da giorni che la fine si stava avvicinando. Racconta Paolo Natta, il sacerdote che lo ha accompagnato nellultima parte del suo percorso terreno: «Don Luigi si è preparato spiritualmente a questo momento. Io concelebravo con lui la Santa Messa in questi giorni. Il 30 dicembre sembrava stare un po meglio, ha ricevuto con grande devozione lEucarestia, è stato molto in silenzio. Era una persona che si stava preparando».
Poi lex presidente del San Raffaele è tornato a casa. Nella notte il petto è tornato a fargli male, e lo hanno riportato in ospedale. Erano le due e mezza dellultimo mattino del 2011, e stava scritto che don Verzè non avrebbe conosciuto il nuovo anno: quel 2012 che in un modo o nellaltro vedrà compiersi il destino del San Raffaele, la resurrezione in nuove mani o la crisi definitiva; e che - si può starne certi fin dora - vedrà proseguire lo stillicidio delle rivelazioni e delle accuse, delle incriminazioni e degli scoop sul lato oscuro del grande ospedale, nuove puntate di questa saga alla Dan Brown in cui si muove linchiesta per bancarotta e associazione a delinquere della Procura di Milano. Tutto questo, a don Verzè verrà risparmiato. Prima che sorgesse su via Olgettina lultimo sole del 2011, il vecchio prete ha reso lanima al Signore.
Ieri la Guardia di finanza si fa consegnare dai medici la cartella clinica di «Verzè Luigi, nato a Illasi il 14 marzo 1920». Vuol dire che cè un giallo nella morte di Verzè? No, tecnicamente parlando, e lacquisizione della cartella è solo un gesto automatico da parte della Procura: tanto che il pubblico ministero di turno non dispone nemmeno lautopsia sul corpo del sacerdote, e ne autorizza limmediata sepoltura (che avverrà oggi a Illasi, suo paese natale nel Veronese, mentre la camera ardente resterà aperta questa mattina al San Raffaele). Anche se su Internet parte immediatamente la danza macabra delle dietrologie, e cè chi - come Beppe Grillo e il deputato del Pd Dario Ginefra - si precipita a lanciare ipotesi ed invocare indagini, la realtà è semplice: don Verzè è morto dinfarto, a 91 anni e mezzo, e un mese e mezzo dopo essere stato indagato per concorso in bancarotta fraudolenta.
Il tema reale è semmai questo: quanto le vicissitudini giudiziarie sue personali e del San Raffaele hanno contribuito a logorare un uomo ormai vecchio? Quanto può avere inciso, nellaccelerare la fine di Verzè, vedere la sua creatura travolta dalla bufera? Il 18 luglio il suo braccio destro, Mario Cal, si era tolto la vita, sparandosi nel suo ufficio. Verzè ha continuato a restare al suo posto fino allultimo, fino quando non si è reso conto che la sua stessa presenza poteva diventare un ostacolo alla sopravvivenza del San Raffaele: e allora si è tirato da parte, con la lettera che costituisce di fatto il suo testamento. «Nelle ultime settimane lacuirsi della tensione sulla sua persona può aver acuito un certo tipo di tensione, e lo stress come si sa influisce sulla salute», dice il portavoce Paolo Klun. Ma aggiunge anche che non aveva perso il buon umore, «faceva ancora le sue battute»: e questo si accompagna bene al racconto di don Natta, il prete che descrive Verzè come un credente che si avvia alla fine in modo consapevole.
Una cosa è certa: lasciando questa valle di lacrime, Verzè si risparmia anche il faccia a faccia con i suoi accusatori, con i tre pm - Orsi, Pedio e Ruta - che lo accusano di avere portato lospedale a ridosso del baratro, a forza di spese folli e di fondi neri. Al vecchio sacerdote, la Procura aveva evitato laccusa di fare parte dellassociazione a delinquere promossa dal fu Mario Cal per dissanguare lospedale.
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