Controcorrente

Si è fermato l'ascensore

La crisi ha scavato un fossato tra i redditi delle diverse generazioni e i giovani sono sempre più poveri. Colpa di un Paese che cresce poco. Ma anche della scuola

Si è fermato l'ascensore

A giocare oggi la partita dell'economia e della politica sono tre squadre: Baby boomers, Generation X e Millennials. E le etichette inglesi, inventate dai sociologi e rese popolari dai mass media, identificano tre generazioni, separate non solo dalla data di nascita ma da mondi ed esperienze diversissime tra loro. I Baby boomers sono i nati tra il Dopoguerra e la fine degli anni Sessanta; per Generation X si intende la fascia di età di chi è venuto al mondo nel decennio dei Settanta, i Millenials si sono affacciati alla vita tra gli anni Ottanta e la fine dei Novanta.

Il problema è che il confronto tra i diversi team generazionali è tutt'altro che equilibrato. Il match più sbilanciato è quello tra Baby boomers e Millenials: i primi sono passati da un successo all'altro, hanno ricevuto il testimone dai loro genitori, protagonisti-artefici del boom economico, e hanno consolidato la loro posizione in termini di reddito e patrimonio; i Millenials hanno un problema non da poco: sono arrivati quando la festa stava finendo e hanno subito incontrato sul loro cammino la più grave crisi economica dal 1929. Il risultato di tanta disparità di condizioni è, come scrivono gli economisti, che l'ascensore sociale si è bloccato. Non solo i figli non sono più destinati a diventare più ricchi dei padri, ma, anzi, la direzione di marcia si è invertita. «Basta fare due calcoli sugli ultimi numeri diffusi dall'Istat», spiega Giovanni Ajassa, direttore del Servizio studi di Bnl-Paribas. «La crisi economica ha scavato un fossato tra i redditi delle diverse generazioni a danno dei più giovani».

PADRI E FIGLI

I dati sono quelli pubblicati nel grafico a fianco: dal 2007 a oggi i redditi di chi ha meno di 35 anni si sono ridotti del 20%, la fascia d'età tra i 35 e i 44 anni ha ridotto le perdite al 12%, i «vecchi» vicini alla pensione hanno perso solo il 7%. Tutti, con la piccola ripresa in corso, hanno iniziato a recuperare qualche cosa. Tutti salvo gli under 35. Se anzichè ai redditi si guarda al patrimonio, le cose non cambiano. Secondo i dati di Banca d'Italia nel decennio tra il 2005 e il 2014 la ricchezza delle famiglie guidate da persone oltre i 64 anni è rimasta praticamente invariata, i capifamiglia tra i 55 e i 64 anni hanno perso poco più del 10%, mentre i giovani sotto i 35 hanno lasciato per strada il 20%.

In un recente studio, Carlotta de Franceschi, presidente del think tank Action Institute e docente alla newyorkese Columbia University, ricorre alla mitologia greca per spiegare quello che sta accadendo: Crono, padre degli dei, timoroso di perdere il potere, divora i propri figli fino a quando interviene Rea, che porge al marito una pietra avvolta in un panno al posto dell'ultimo nato, Zeus, che darà poi origine agli dei dell'Olimpo e alla stirpe degli uomini. La differenza è che oggi «sembra essere scomparsa la figura di Rea: le giovani generazioni sono lasciate sole e indifese, in preda all'ingordigia di Crono». A interpretare la figura del papà cattivo sono, volenti o nolenti, i Baby boomers: «Hanno beneficiato di un lungo periodo di crescita economica e hanno potuto godere i frutti di uno stato sociale ancora generoso. Due vantaggi che non hanno lasciato ai Millenials», spiega Carlotta de Franceschi.

MAL COMUNE

Non è un problema solo italiano. Nello studio già citato («Un passato che grava sul futuro»), la de Franceschi parla di una «frattura intergenerazionale che minaccia i Paesi europei». Negli ultimi vent'anni la variazione del reddito dei giovani è stata, praticamente in tutte le nazioni sviluppate, negativa rispetto alla media nazionale e quasi ovunque, a impoverire gli under 30, è stato l'aumento della disoccupazione giovanile legata alla crisi. L'Italia, però, ci ha messo molto di suo. «Nel nostro Paese si è creato un mercato del lavoro duale e anche la riforma delle pensioni, mi riferisco alla riforma Dini del 1996, ha impiegato 20 anni per entrare a regime». In pratica nella Penisola il mondo dell'economia si è diviso in due: da una parte i cosiddetti lavoratori garantiti e chi poteva andare in pensione con le regole di un tempo; dall'altra chi non aveva queste fortune. Dentro la fortezza, al riparo dei colpi della congiuntura, protetti da un selva di leggi, sono finiti la forza lavoro sindacalizzata e i pensionati con assegno calcolato secondo il regime retributivo. Fuori dalle mura sono rimasti i giovani.

SPESE E STUDI

«Anche le scelte di spesa pubblica degli ultimi anni hanno allargato la frattura intergenerazionale», spiega la de Franceschi. «Le politiche di austerità hanno compreso le voci di bilancio più flessibili, e che più coinvolgono i giovani, come l'istruzione o la spesa per le famiglie, rispetto a quelle politicamente più costose come pensioni e sanità». E proprio l'istruzione (o la mancanza di istruzione) è una delle chiavi per capire la specificità del nostro Paese. «Il problema dell'impoverimento giovanile inizia sui banchi di scuola», avverte Ajassa di Bnl. L'Italia è di gran lunga in testa in una classifica ben poco invidiabile, quella dei cosiddetti Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e allo stesso tempo non sono occupati in alcuna attività di istruzione e formazione. Tra il 2007 e il 2016 sono cresciuti di 6 punti percentuali e oggi siamo a livelli tre volte maggiori della Germania e quasi due volte maggiori della media dei paesi euro.

Non solo dunque il nostro sistema economico cresce meno di tutti gli altri, ma mostriamo anche la maggiore incapacità di gestire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Per capire le ragioni di questo duplice svantaggio Carlotta de Franceschi segnala alcuni dati: la spesa pubblica in istruzione è significativamente più bassa da noi che nella media dei Paesi Ocse e il nostro sistema educativo appare decisamente fuori sincrono rispetto alle esigenze dell'era digitale: abbiamo il 26% in meno di laureati in materie scientifiche, il 29% in meno di esperti in informatica, il 21% in meno di persone con competenze informatiche di base rispetto alla media europea. Basta per essere pessimismi sul futuro dei Millenials tricolori? Volendo si può infierire ancora, aggiungendo un elemento: secondo il centro studi Bruegel di Bruxelles i pensionati italiani del 2060 (i Millenials di oggi) vedranno ridursi il loro assegno più di tutti gli altri in Europa. Nel 2007 i pensionati italiani incassavano il 68% di uno stipendio medio, nel 2060 la percentuale scenderà di 21 punti, assestandosi a quota 47%.

Insomma, c'è poco da fare: ai ragazzi italiani (vedi anche il box nella parte alta della pagina) non resta che sperare in una bella eredità.

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