Si incrina l'asse tra Bossi e Tremonti: necessario che Giulio abbassi le tasse

Al vertice di Villa San Martino Berlusconi ha incrinato l'asse fra il Senatur e il titolare dei conti. Nel Pdl cresce il dissenso sul ministro: "Se fosse candidato premier troverebbe le risorse...". In nottata, poi, convocato un vertice di maggioranza per rilanciare l'azione del governo: al centro il taglio delle tasse

Si incrina l'asse tra Bossi e Tremonti:  
necessario che Giulio abbassi le tasse

Roma - Il giorno dopo il vertice di Arcore per fare il punto con l’alleato leghista dopo la batosta elettorale, Berlusconi tace. Tuttavia filtrano le indiscrezioni su un summit abbastanza teso. Al centro dell’attenzione il solito ministro dell’Economia Tremonti, oggetto di pressioni da parte di tutti per dare una scossa da qui al termine della legislatura.
Un elemento di novità è senza dubbio la spaccatura del tradizionale asse tra il Senatùr e il titolare di via XX Settembre, fino a ieri cementato nel «Tremonti non si tocca». Questa volta, però, anche il capo della Lega ha convenuto con Berlusconi: si devono trovare le risorse necessarie per lasciare qualche euro in più nelle tasche degli italiani. Il capo del Carroccio ha dettato il suo pensiero in un articolo sulla Padania di ieri: «Dovremo stare molto attenti, perché non dobbiamo tenere conto solo dell’Europa. Contano anche i grandi mercati: Londra, New York... Quindi bisogna essere cauti». Fin qui la tesi tremontiana. Poi però, ha detto Bossi, «Alla fine Tremonti dovrà trovare il modo di ridurre un po’ le tasse per le famiglie e per le imprese». Umberto adesso la pensa come Silvio: la gente non mangia di solo pane e federalismo e occorre fare qualcosa per far ripartire l’economia e dare un aiuto agli artigiani, alle partite Iva, alle piccole imprese, alle famiglie. Non basta tirare soltanto la cinghia per presentare i conti a posto a Bruxelles. Non basta pigiare soltanto sul tasto del rigore. Occorre, da qui al 2013, pensare anche allo sviluppo.
Tremonti, al vertice, s’è trovato sostanzialmente solo. E ha dovuto ripetere «cautela, cautela, cautela». In pratica ha ribadito quello che giusto ieri la commissione europea di Strasburgo ha emanato come raccomandazione al nostro Paese: «Correggere il deficit eccessivo, prevenire sforamenti del bilancio, rimuovere gli ostacoli normativi e ridurre i costi per le piccole medie imprese». Insomma, un «vedrò cosa potrò fare», consapevole che questa volta non ci sono soltanto le pressioni di Berlusconi ma anche quelle di Bossi. Il quale, ormai da un po’ di tempo, sente sul collo il fiato dei tanti amministratori leghisti che lamentano l’eccessiva rigidità del sistema. Molti sindaci del Carroccio si sono lamentati: «Dobbiamo trovare il modo di premiare le amministrazioni virtuose e far sì che comuni, province e regioni possano spendere se governano bene. Altrimenti saremo costretti ad aumentare il costo dei servizi e, in definitiva, aumentare le tasse».
Ora si tratta di capire quale possa essere il sentiero stretto da percorrere tra il rigore e lo sviluppo. Ci sono spiragli per avviare una riforma tributaria già entro l’estate ma la vera rivoluzione fiscale non potrà avvenire prima del 2013. Una bella grana per il ministro dell’Economia che, a livello politico, ha visto risalire dubbi e sospetti sul suo conto da parte pidiellina. A Montecitorio, infatti, qualcuno si domandava: «Ma a che gioco sta giocando?». I maligni sostengono che, forte di un potere smisurato in un periodo di vacche magre, Tremonti giochi una partita tutta sua chiudendo i rubinetti delle risorse pubbliche. Qualche pidiellino andava giù duro in Transatlantico: «E se, qualora Berlusconi dovesse passare la mano nel 2013, Tremonti si autopresentasse come candidato premier? Scommettiamo che a ridosso di quella data i soldi salterebbero fuori?». Graffiate, infondate o meno, che senza dubbio danno il senso dell’atteggiamento di alcuni deputati berlusconiani.

I quali hanno pure ricordato come Tremonti non abbia proprio fatto i salti di gioia alla notizia dell’investitura di Alfano a segretario politico del Pdl: «Cuius regio, eius religio», aveva commentato sarcastico il ministro dell’Economia. Ossia: «Il suddito deve conformarsi alla religione del principe dello Stato in cui vive». Traduzione: me lo faccio andar bene ma se fosse per me...

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