Un imprenditore, e non è Diego Della Valle, vorrebbe salvare il Colosseo che si sta sbriciolando. Lo farebbe gratis. Ha scritto più volte alla direttrice dell’Anfiteatro Flavio, al ministero per i Beni culturali, al sindaco di Roma e allo stesso industriale calzaturiero, che pochi giorni fa ha siglato un accordo per restaurare a proprie spese uno dei simboli dell’Italia. Non gli hanno mai risposto. Quest’uomo non è un visionario. È un tipo originale, questo sì, perché ha fondato un’azienda, la Befec di Trieste, che annovera un solo dipendente di quasi 70 anni: Mario Zandegiacomo. Lui stesso. Amministratore, ricercatore, mecenate. Non può permettersi di assumere nessuno perché, se lo facesse, sarebbe costretto a rivelare i segreti della sua scoperta. Che pare sia senza precedenti al mondo: ha individuato il modo per impedire all’umidità di imbibire i muri e di mangiarsi monumenti, palazzi, ville, chiese, campanili, affreschi, mosaici, intonaci.
I singoli componenti del Befec sono reperibili dal ferramenta e valgono qualche decina di euro, richiedono poca manodopera per essere posati, non hanno bisogno di elettricità per poter funzionare. Eppure svolgono egregiamente il loro lavoro: fermano l’acqua che sale dal terreno. Non lo dice l’interessato. Lo confermano, con tanto di attestazioni corredate da timbri e firme, proprietari e custodi di questi scrigni, persone che per vocazione sono tenute a non mentire, e cioè vicari vescovili e parroci. Ma lo avvalorano anche enti come la Camera di commercio di Trieste, che ha espresso «vivo apprezzamento per l’ottimo risultato finale» conseguito sull’edificio della Borsa vecchia, infradiciato da 250 anni di infiltrazioni. O il Comune di Tarvisio, che ha constatato «la totale sparizione dell’umidità dalle murature e dal pavimento» della Torre medievale. O grandi imprese di costruzioni, come il gruppo Maltauro di Vicenza, che sta costruendo lo snodo Termini della metropolitana di Roma e l’ospedale di Bengasi in Libia.
Zandegiacomo è intervenuto con successo su tutto il comprensorio della basilica del Redentore, la chiesa che Andrea Palladio progettò nel 1577 sull’isola della Giudecca per ricordare la liberazione dal flagello della peste, dove sono conservate opere di Tintoretto, Paolo Veronese, Palma il Giovane, Francesco Bassano, Giovanni Bellini, Francesco Guardi; un ex voto caro a 20 generazioni di veneziani per la festa che vi si celebra la terza domenica di luglio, quando il Bacino di San Marco viene illuminato dai fuochi artificiali. Da almeno un lustro l’inventore ne ha fatto il suo laboratorio sperimentale, con grande gaudio dell’ordine dei frati minori cappuccini che assisteva impotente alla rovina del tempio, del convento e delle pertinenze. Invece a Trieste, la città dove vive, ha asciugato il Palazzo comunale di piazza Unità d’Italia, Sant’Antonio Vecchio e la cripta di San Michele al Carnale sul colle di San Giusto, risalente al XIII secolo, posta a 4,7 metri di profondità, che s’era trasformata in una piscina, tanto da richiedere l’apertura di un tombino nel pavimento di cotto per consentire il deflusso dell’acqua.
Diego Della Valle, produttore delle scarpe Tod’s, presidente onorario della Fiorentina e azionista della Rcs Mediagroup che pubblica il Corriere della Sera, spende 25 milioni di euro allo scopo di potersi fregiare nelle campagne pubblicitarie del titolo di «sponsor unico per i lavori di restauro del Colosseo». Mario Zandegiacomo invece ti riempie la testa di dipoli sensibili a campi elettrici statici, attrazioni intermolecolari, campi magnetici toroidali, onde sinusoidali, equazioni di Maxwell. Capite bene che fra i due non poteva esserci partita.
Zandegiacomo non nasce scienziato. Dopo la laurea in economia, è stato dal 1969 al 1975 assistente di statistica all’Università di Trieste e ha lavorato a stretto contatto di gomito con fisici, biologi, medici, psicologi, partecipando alle loro ricerche. Insomma, una certa confidenza con la scienza e i calcoli l’ha sempre avuta. Dal 1999 s’è buttato sulla Befec, acronimo di Bio energy field effect converter.
Non poteva chiamarla in italiano?
«La traduzione è grosso modo questa: convertitore di campo magnetico. Se l’avessi detto in italiano, nessuno mi avrebbe dato ascolto. Invece in inglese diventa subito interessante».
Cerchi di spiegarmi la sua scoperta contro l’umidità come se fossi uno scolaro di 8 anni.
«È dimostrato che l’ambiente è pervaso da onde elettromagnetiche. Alcune sono prodotte dalla natura, per esempio dal Sole e dalla rotazione terrestre; altre sono provocate dall’uomo con radar, antenne, cellulari, televisori, radio, elettrodomestici. Si sa che le molecole dell’acqua reagiscono in presenza di onde elettromagnetiche emesse a una certa frequenza. Controprova: il forno a microonde funziona soltanto se nei cibi c’è dell’acqua, la quale viene riscaldata dalla frenetica movimentazione delle sue molecole provocata da un campo magnetico oscillante».
E dunque?
«Ho scoperto che alcuni tipi di onde elettromagnetiche hanno la capacità di potenziare la capillarità nei materiali microporosi, come i mattoni e il cemento. A determinate frequenze, esse colpiscono gli edifici e li fanno risuonare a livello subatomico. Quindi basta neutralizzarle per impedire che l’acqua riempia i fori di diametro capillare presenti nei muri. Non bisogna dimenticare che la parola “capillare” deriva da capello».
Ero rimasto ai vasi capillari del corpo umano.
«Nelle pareti si formano dei processi elettrolitici che creano flussi di acqua ionica migrante fra gli estremi del campo. Senza capillarità, non può esservi umidità. La Pescheria di Trieste è in riva al mare eppure è sempre stata asciutta: il geniale architetto Giorgio Polli, che l’ha costruita nel 1913, ha messo sassi piccoli sul fondo e sassi più grandi a mano a mano che procedeva nella costruzione. Risultato: niente umidità perché manca la microporosità. L’acqua sale in continuazione solo dai fori capillari e questa spinta verso l’alto cessa quando viene sovrastata dalla forza di gravità. Sarebbe lungo da spiegare...».
Le credo sulla parola.
«Meglio soffermarsi sul rimedio. Lei che cosa fa quando va al mare? Indossa gli occhiali, si ripara sotto l’ombrellone, si cosparge di creme. Sono tutti filtri passivi per evitare i danni che le onde elettromagnetiche in arrivo dal Sole potrebbero provocare alla pelle. Il Befec fa la stessa cosa: filtra le onde elettromagnetiche presenti nell’ambiente e impedisce che accentuino la capillarità dei muri. In tal modo l’acqua non sale più».
Be’, ma mica sale all’infinito. A un metro da terra non è che si veda questa gran umidità.
«Questo lo dice lei. Io l’ho trovata a 30 metri, sulla cima del campanile di Sant’Antonio Vecchio. Le torri funzionano come antenne, attirando le onde elettromagnetiche. Bonificare una cattedrale gotica è un’impresa da far tremare le vene dei polsi, perché ogni guglia è un’antenna. Negli ultimi 60 anni i danni da umidità sono aumentati in modo spaventoso proprio per l’aumento esponenziale delle fonti di radiazione».
Ne è sicuro? La faccenda è controversa.
«Allora senta che cosa m’è capitato. Avevo completamente risanato Sant’Antonio Vecchio, una delle chiese più antiche di Trieste, ricevendo attestati di riconoscenza dalla Curia vescovile e dal parroco. Una mattina mi telefona allarmato il sacrista: “Venga subito. I paramenti dell’altare sono completamente intrisi d’acqua”. Vado. Aveva ragione. Non riesco a capacitarmi di che cosa possa essere accaduto. Esco scoraggiato e incontro un amico, un ingegnere idraulico, che abita nei paraggi. Mi racconta che sta male. Da quando vicino a casa gli hanno piazzato un’antenna di telefonia mobile, si sveglia alle 6 del mattino con dolori allo stomaco. Mi viene l’idea di collocare in prossimità del suo quadro elettrico uno dei componenti provvisori del sistema che usiamo per blindare le chiese. Dopo una settimana mi ritelefona il sacrista: i paramenti sull’altare erano di nuovo asciutti. E il mio amico non stava più male. Capisce? In prospettiva il Befec potrebbe difendere le città dall’inquinamento elettromagnetico. Ma come si fa a dimostrare una correlazione fra questi eventi?».
In effetti è piuttosto empirica, come prova.
«Eppure ho eseguito con successo almeno una trentina di esperimenti in tal senso, tutti controfirmati dai beneficiari. È già la terza volta che installo i componenti non invasivi del mio sistema sulla chiesa del Redentore alla Giudecca, facendo sparire l’umidità. Poi li rimuovo e nel giro di tre o quattro mesi l’umidità ricompare. Li rimetto e l’umidità sparisce. Chieda a fra Sergio Tellan, parroco fino al 2007, che oggi vive nella delegazione dei cappuccini a Budapest».
Non capisco quali onde elettromagnetiche dovrebbero favorire la capillarità nelle pareti della basilica veneziana, visto che sorge quasi in mare aperto.
«E i radar dei vaporetti, che tirano fino a 16 miglia, dove li mette? Nel canale della Giudecca, quando c’è la nebbia, possono transitare solo i natanti che ne sono muniti. Lo sa che le onde emesse dal radar di un cacciabombardiere cuociono in volo gli uccelli che vengono a trovarsi sulla traiettoria? Non ha idea di quanti militari americani siano morti nella seconda guerra mondiale facendo manutenzione ai radar senza spegnerli».
È venuto il momento di dirmi come funziona il Befec.
«Bravo! Vengo a dirlo a lei e ai suoi lettori. Non è stato nemmeno brevettato per paura che lo copino. Appena lo depositi, un brevetto diventa di pubblico dominio. E dopo dieci anni scade. Senza contare che il Befec non è una macchina, quindi non sarebbe neppure brevettabile. È un’opera d’ingegno».
Qualcosa devo pur scrivere.
«Scriva che il Befec fa uso di cilindretti in rame lunghi circa 15 centimetri da interrare o da nascondere dietro i battiscopa e di pastiglie in teflon, ottone, acciaio inox, rame e bronzo, da 6 a 10 millimetri di diametro, da applicare ai muri con silicone. In tutti questi componenti viene memorizzata un’informazione. Di più non posso dire. Il capitolato prevede che, sino alla verifica dei risultati contrattualmente stabiliti, il committente non è tenuto al pagamento di alcuna somma a qualsivoglia titolo. E per risultati intendo un aumento medio della temperatura delle murature attorno a 2 gradi Celsius, il mantenimento di un livello normale di umidità relativa negli ambienti e l’eliminazione dell’acqua dalle fondamenta degradate».
I componenti durano per sempre?
«Quelli provvisori che servono per configurare il sistema si esauriscono in quattro o cinque mesi. Quelli definitivi non si scaricano mai. L’unico rischio è rappresentato dagli imbianchini, che trovano questi piccoli aggeggi isolati qui e là e, non sapendo a che cosa servono, li grattano via prima di tinteggiare».
Com’è nato il Befec?
«Per puro caso. Insieme col professor Giorgio Zmajevich, un ingegnere, docente dell’Università di Trieste oggi in pensione, conducevo alcuni esperimenti sugli influssi delle onde elettromagnetiche nel mondo vegetale. Partecipava anche Magda Stoka, una persona di raro intuito scientifico. Ci riunivamo nell’abitazione di Zmajevich. Dopo qualche tempo il professore s’è accorto che la parete nord della sua casa risultava completamente asciutta. In precedenza era costretto a rifare ogni due anni gli intonaci corrosi dall’umidità».
E così ha pensato bene di farsi avanti per salvare il Colosseo.
«Avevo letto del bando scaduto il 30 ottobre e del fallimento della gara pubblica. Perciò ho scritto subito alle varie autorità coinvolte per mettermi a disposizione in modo completamente gratuito. Non mi hanno neppure risposto. Quando ho saputo che la cosa stava a cuore a Diego Della Valle, ho scritto anche a lui, precisando che non volevo guadagnarci nulla. Silenzio. Adesso scopro che l’imprenditore marchigiano scucirà 25 milioni di euro in cambio di una sorta d’esclusiva sul monumento visitato ogni anno da 6 milioni di turisti. Mi chiedo: ma lo sanno o no che il pericolo peggiore per la staticità dei monumenti è rappresentato dalle infiltrazioni d’acqua? Forse ignorano che persino la Sfinge di Giza, nel deserto egiziano, è afflitta da questo problema. Vadano a vedere in che condizioni è la Domus Aurea di Roma. Tu puoi mettere tutti i ponteggi che vuoi, chiamare fior di ingegneri e tecnici, ma finché ti limiti a far intervenire i muratori e non togli l’umidità, il fallimento è assicurato. L’edilizia, in questi casi, è solo cosmesi».
Avverto risentimento nelle sue parole.
«Per nulla. Siamo abituati a trascurare il problema per fatalismo. “L’appartamento è umido? E che cosa possa farci? Cambiare casa? Mi tocca tenermi i reumatismi e tirare avanti”. Così ragiona la gente. So di un parroco che ha assistito impotente alla rovina di un affresco di Giotto divorato dall’umidità. Io voglio solo rendermi utile, per cui nel frattempo ho spostato le mie attenzioni su villa Bolasco, a Castelfranco Veneto, ora di proprietà dell’Università di Padova, una dimora storica che sta andando in rovina. Ma se lo Stato mi chiamasse a dare una mano per il Colosseo, sarei ben lieto di provarci».
Intanto i frati del Redentore pregano per lei.
«Fra Cesare Zandonà, il superiore del convento, mi ha detto, ridendo: “Zandegiacomo, questa ormai è casa sua!”. Gli ho risposto: per carità, padre, non potrei mai accollarmi le spese di manutenzione. I cappuccini avrebbero bisogno di uno sponsor, poveretti. L’ultimo è stato Gianni Agnelli, che nel 1972 pagò la rifacitura degli intonaci sul lato nord battuti dalla bora».
Mi sembra impossibile che nessuno scienziato ci sia arrivato prima di lei.
«Non ricorda che cosa diceva Albert Einstein? Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa».
(530. Continua)
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