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Si svuota anche l’ultima colonia Israele lascia Gaza dopo 38 anni

I soldati hanno sgomberato gli abitanti di Netzarim. Oggi comincia l’evacuazione nel West Bank

Si svuota anche l’ultima colonia Israele lascia Gaza dopo 38 anni

Gian Micalessin

da Homesh

L'era dei coloni ebrei di Gaza è finita ieri pomeriggio. Nove autobus hanno portato fuori da Netzarim 578 fra uomini, donne e bambini. Dentro sono rimaste solo due famiglie autorizzate dall'esercito a fermarsi per imballare i loro averi. Yitzhak Rabin aveva promesso di smantellare Netzarim subito dopo gli accordi di Oslo. Invece è rimasta aperta fino a ieri ed è stata l'ultimo degli insediamenti della Striscia, occupata militarmente nel 1967, a venir evacuato. In 33 anni di testarda e pervicace sopravvivenza era diventata il simbolo dell'arroganza e del costo dei coloni. Costruita nel centro della Striscia, separata da tutti gli altri insediamenti, abitata da non più di 60 famiglie, circondata da un oceano palestinese Netzarim richiedeva la presenza di due battaglioni e di diverse unità corazzate per garantirne la sopravvivenza. Collegata ad Israele da un'unica strada in territorio palestinese era il bersaglio ideale e il centro di tutte le violenze.
Qui cinque anni fa venne inchiodato al muro dal piombo israeliano il bambino Mohammad Dura, simbolo e icona palestinese della seconda intifada. Tutt'attorno sono stati uccisi in cinque anni di scontri 114 fra militanti e civili palestinesi, 17 dei quali bambini. Nonostante la sua fama Netzarim ha chiuso i battenti con sobria dignità. Non vi sono state né scene di violenza né reazioni scomposte. Gli ultimi 578 fra residenti e ospiti dell'ultima ora hanno aperto i cancelli e hanno lasciato che i soldati affluissero dalla base attigua. Poi dopo un breve negoziato si è raggiunta l'intesa consueta, tutti fuori dopo la preghiera del primo pomeriggio.
In Cisgiordania, dove oggi incomincia lo sgombero del quattro colonie di Ganim, Kadim, Homesh e Sa Nur, non vi è invece l'ombra di un accordo. Ganim e Kadim sono già vuote da settimane. Homesh e Sa Nur minacciano, invece, di trasformarsi nella Masada dell'estremismo politico religioso. Sono due nidi d'acqua appollaiati sulle colline più alte della Samaria, trenta chilometri a nord ovest della città palestinese di Nablus. Intorno e sotto di loro solo villaggi arabi. Viste dal basso sembrano due manieri fortificati. Dentro, oltre i cancelli e le difese garantite da quello stesso esercito chiamato a svuotarle, le due colonie hanno un volto meno battagliero. Ad Homesh una decina di ragazzini e un paio di adulti fa l'ultimo bagno in una piscina che domina distese di campi brulli, arrostiti dal sole. Nelle villette gli adulti, i ragazzini e gli estremisti di destra infiltratisi nelle ultime settimane preparano le ultime difese.
Un doppia barriera di filo spinato circonda il rifugio anti mortaio della colonia. «L'ultima resistenza sarà lì sul tetto, ma non aspettatevi alcuna forma di violenza», ribadisce Yadidya Lerner. La lunga barba e la moderazione dei suoi toni lo fanno sembrare molto più anziano dei suoi 25 anni. «Non abbiamo intenzione di spargere una sola goccia di sangue ebreo. Vogliamo solo prolungare il più a lungo possibile la resistenza, dimostrare a Sharon che non è possibile chiudere le colonie con uno schiocco delle dita. Ma non credete a chi racconta di armi nascoste».
Tutt'attorno le consuete iperboli dell'evacuazione. Un bambino sbatte in faccia a ogni giornalista un cartello con tre date e tre frasi. «Nel 1492 i miei antenati ebrei sono stati espulsi dalla Spagna, nel 1944 i miei nonni sono stati vittime della Shoa, Nel 2005 un governo ebreo si prepara a rimuovermi dalla mia casa». Ma qui ad Homes e lì davanti, tra le fortificazioni di Sa Nur, molte sono le incognite. Nascosti dietro recinti di tela nera giovani e meno giovani lavorano alle loro macchine da guerra segrete. Nelle ultime due settimane popolazione dei due villaggi è quasi raddoppiata.
Ieri i militari hanno arrestato una novantina di giovani in marcia verso gli insediamenti. Subito dopo qui a Homesh, i loro compagni hanno sparso olio e chiodi sulla strada azzoppando due veicoli dell'esercito. Negli scontri di domenica si sono contati sette feriti. Così il capo della polizia Moshe Karadi, responsabile dell'evacuazione, raccomanda di prepararsi alla peggiore delle eventualità. Il comportamento degli abitanti delle colonie sembra dargli ragione. Ieri decine di donne e bambini hanno abbandonato Sa Nur. Ad Homesh, Yadidya Lerner ammette di aver mandato via la figlia di due anni.

«Noi non vogliamo violenze - spiega con un sorriso - ma non possiamo certo garantire per esercito e polizia».

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