Sicilia, deputato Udc in cella per una telefonata

L’accusa: patto con le cosche. Il partito: «Vanno evitate strumentalizzazioni»

Sicilia, deputato Udc in cella per una telefonata

da Roma
Quella passeggiata romana con un esponente nazionale di primo piano del suo partito che gli garantiva una candidatura o per andare a Roma o all’Assemblea Regionale, gli ha portato sfortuna. Dopo un anno e mezzo di indagini, i giudici hanno pensato che bisognasse indagare su Davide Costa, trentanovenne esponente dell’Udc, di provenienza Ccd, figlio d’arte di un assessore regionale, lui stesso ex-assessore del governo Cuffaro, al termine di una telefonata dove il figlio raccontava al padre di quella passeggiata romana e di quella promessa. Un incontro - tengono a sottolineare i magistrati nella richiesta di custodia cautelare - «con importante esponente politico evidentemente ignaro dell’effettivo grado di compromissione di Costa con l’associazione mafiosa».
La conversazione registrata attesta, secondo i pm che ne chiedono e ottengono l’arresto, «ampiamente la rilevanza del ruolo politico di Costa e dell’interesse manifestato in relazione alle prossime significative competizioni elettorali, con ciò evidenziandosi in concreto l’immediatezza dello specifico pericolo che nelle nuove tornate elettorali Costa possa aggiornare il patto stipulato con la famiglia mafiosa, avente anche ad oggetto lo scambio elettorale politico mafioso». Sarebbero questi i motivi che hanno spinto i pm della Dda di Palermo Massimo Rossi, Roberto Piscitello e Gaetano Paci ad accelerare l’arresto ieri mattina a Marsala dove il deputato è stato trovato con una valigia già pronta. Costa è indagato da oltre un anno e mezzo per concorso in associazione mafiosa e voto di scambio con l’organizzazione mafiosa di Marsala. A seguito dell’incriminazione il giovane politico aveva deciso di dimettersi dalla carica di assessore alla presidenza del governo Cuffaro, per rispetto - come spiega al suo speciale interlocutore - «alla magistratura, alle istituzioni, al ruolo che mi hai dato».
Il nuovo arresto di un esponente dell’Udc (sono ormai più di una decina gli eletti di questo partito coinvolti in inchieste di mafia) arriva all’indomani della campagna antimafia lanciata dal presidente Cuffaro con lo slogan «la mafia ci fa schifo» e nel momento in cui la Cdl gioca una difficile partita per decidere quando andare alle elezioni regionali che, secondo lo stesso Cuffaro, dovrebbero essere fissate ai primi di marzo, un mese prima delle nazionali.
Certamente l’arresto avrà ripercussioni negli scenari politici del centrodestra. Dalla segreteria nazionale dell’Udc arriva una nota che ribadisce «la propria fiducia nell’operato della magistratura ed esprime l’auspicio che possa essere fatta chiarezza al più presto nel rispetto del principio di tutela degli indagati». Ma una breve frase fa intuire come l’arresto influirà nella già difficile campagna elettorale siciliana: «La segreteria dell’Udc - si legge nella nota - invita tutte le forze politiche ad evitare ogni bieca strumentalizzazione sulla vicenda».
«Ogni partito in Sicilia, a partire dalla prossima consultazione elettorale - sottolinea immediatamente Lumia dei Ds - deve fare i conti con la questione morale. Tutti i partiti dovrebbero sottoscrivere un codice etico di autoregolamentazione sulle candidature per dire una parola chiara sui rapporti politici che si vogliono costruire per cambiare la Sicilia».

Sulla stessa onda Carlo Vizzini, responsabile Dipartimento sicurezza e criminalità di Fi per il quale «è necessario studiare codici di comportamento che facciano della scelta della legalità e dell’antimafia una precondizione rispetto alle battaglie politiche ed elettorali».

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