Sikh decapitato e lasciato in spiaggia

INTERROGATORI Testimoni raccontano di urla disumane provenienti dalle dune

Decapitato a colpi di accetta. È l’ultimo omicidio avvenuto sulla costa tra Ardea e Lavinio nella comunità sikh. L’ha trovato sulla spiaggia libera di Tor San Lorenzo all’altezza di viale Lazio, a mezzogiorno di ieri un giovane che faceva jogging lungo la battigia. Riverso su un pattino, seminudo, tatuaggi sul torace e sulle braccia, nessuna traccia della testa, probabilmente gettata in mare dall’assassino. In tasca dei pantaloni la carta d’identità. Barbaramente ucciso per motivi legati alla religione, ipotizzano gli inquirenti che hanno interrogato dei testimoni che la sera prima avrebbero sentito urla disumane provenire dalle dune. Sul posto il sostituto procuratore di Velletri Giovanni Taglialatela.
Secondo una prima ricostruzione durante la notte ci sarebbe stata una lite violenta fra il poveretto, 45 anni, e un extracomunitario che viveva con lui, che in serata è stato fermato. L’uomo viene colpito con furia inaudita su tutto il corpo all’interno di una catapecchia. Poi trascinato sulla sabbia verso riva come rivelano i segni sull’arenile e la t-shirt arrotolata lungo il tronco. L’arma, un’ascia insanguinata, è stata rinvenuta vicino la baracca sul lungomare delle Regioni. All’interno dell'abitazione sangue ovunque. «Le analisi di laboratorio - dicono i carabinieri del gruppo Frascati - potranno confermare se si tratta dello stesso sangue». Non solo. Gli inquirenti sperano di trovare sul manico dell’arma anche le impronte digitali dell'omicida, il «coinquilino» svanito nel nulla, unico indiziato. Un luogo funesto: in autunno un indiano che viveva nello stesso tugurio, sbronzo, cade da un muretto, batte il capo e muore. L’ennesimo delitto efferato, su questo nessun dubbio, per gli inquirenti. «Stiamo facendo gli accertamenti necessari - spiega il maggiore Emanuele Gaeta, comandante della compagnia di via Marconi - per ricostruire la dinamica dell’omicidio e arrestare l’autore. Non puntiamo sulla criminalità locale quanto sugli immigrati induisti della zona».
Sono più di 5mila anime, vivono tra Lido dei Pini e Campo di Carne, sono integrati col resto della popolazione: gli indiani del litorale romano di solito sono tranquilli, pacifici e grandi lavoratori. Di solito. Nel 2003 l’episodio più cruento, almeno prima di questo, quando su un terreno alla periferia di Anzio viene trovato il corpo carbonizzato di Singh Sukjit, 28 anni, punito fino alla morte a colpi di bastone e dato alle fiamme da due connazionali, Belwinder Singh e Fuman Singh. Tutto perché «pregava poco e tornava a casa ubriaco» confesseranno gli assassini. Casi isolati, stando a quello che dichiarava Ajit Singh, presidente dei sikh anziati, all’indomani dell’attentato contro Navtej Singh, il clochard di 35 anni picchiato e bruciato da tre balordi del posto su una panchina alla stazione di Nettuno. Nell’aprile scorso, però, sempre Lavinio un indiano di 21 anni nato in Italia, Vitan Kumar, viene accoltellato dal padre, Vijay Kumar, durante una lite al rientro a casa. L’uomo non accetta che il ragazzo faccia le ore piccole al pub. La notte del venerdì santo esplode la sua rabbia.

Una persona che si alza presto per andare a lavorare non può tirare avanti fino all’una della notte, contro tutte le regole di una religione fin troppo austera. «Non volevo uccidere mio figlio - confesserà il killer -. Abbiamo litigato, poi non so cosa sia successo.
yuri9206@libero.it

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