Silvestrin: «Voglio più fama Vado in tv a fare l’ispettore»

Michele Anselmi

da Roma

Era così felice, Enrico Silvestrin, che l'ha voluto comunicare ai suoi fan lo scorso 20 dicembre, tramite sito web, con una lunga e appassionata lettera. Che comincia così: «L'assenza è stata lunga ma voluta, cercata, attesa. Ad ogni modo sono qui per annunciarvi in totale esclusiva, prima che lo possiate leggere altrove, che ho firmato un contratto come co-protagonista per le due nuove serie di Distretto di polizia». E aggiunge, sempre più gasato: «Per me è un sogno che si corona, sono almeno due anni che provo ad entrare. Finalmente ce l'ho fatta».
Il 33enne Silvestrin è una delle due new entry in quel Distretto di polizia 6 le cui riprese partono il prossimo 16 gennaio (proprio mentre Mediaset manda in replica la quarta serie). L'altra è Francesca Inaudi, attrice di cinema, volto irregolare e tette già mitiche, che qualcuno ricorderà in La bestia nel cuore, dove irretiva il futuro papà Alessio Boni. Lei sarà l'ispettrice Irene Massa, un po’ incasinata ed emotiva; mentre l'ex vj di Mtv affiancherà il neocommissario Roberto Ardenzi (l'eroina Giulia Corsi se n'è andata al nord per amore) nei panni dell'ispettore Alessandro Berti, che viene dalla Scientifica. Insomma, il nipotino romano dell'Horatio di Csi Miami. Per il resto, tutti confermati al X Tuscolano: dal gay Luca alla scontrosa Anna, da Vittoria a Ingargiulo, da Parmesan a Ugo. Un punto interrogativo grosso così grava su uno dei poliziotti più amati dagli italiani, il Mauro Belli incarnato da Ricky Memphis. Ogni volta dice che sarà l'ultima, sicché potrebbe concedersi solo per qualche puntata, poi rimpiazzato definitivamente da Berti. Cambia il regista, anzi torna, trattandosi di Antonello Grimaldi, che aveva diretto la seconda serie. Invariato il numero delle puntate: 26, per 13 serate.
Silvestrin, è vero che ha dovuto lottare come un leone per ottenere la parte?
«No, è vero però che il produttore Pietro Valsecchi ha rischiato nel puntare su di me. E io lo ringrazio. Sono un volto conosciuto ai giovani, ho girato qualche film anche di successo, ma non credo di essere poi così popolare. Erano in lizza nomi del calibro di Valerio Mastandrea, Alessandro Gassman, Daniele Liotti, Corrado Guzzanti. Tutti bravissimi. Alla fine hanno scelto me. Meno male. Inutile dire che sento una certa responsabilità addosso. Distretto di polizia di solito sblocca un personaggio a serie, non sono contemplati errori quando si entra in una famiglia così rodata».
Come sarà, fisicamente e psicologicamente, questo ispettore Berti?
«Mi somiglia un po’. Ha un atteggiamento positivo nei confronti dell'esistenza. È preciso, consapevole, sa di essere tosto sul lavoro (ha due lauree), non si dà arie. Ma certo, come vuole la tradizione, l'innesto si porta dietro qualche problema. Compagno di scuola di Belli, romano come lui, all'inizio viene chiamato solo come consulente per risolvere un caso piuttosto intricato. Dovrà faticare un po' per integrarsi, vincere qualche diffidenza, poi le cose fileranno lisce».
Dobbiamo attenderci una love-story con la nuova arrivata?
«Mmm... Vedremo. Ancora non ho finito di leggere le sceneggiature. E comunque non glielo direi».
Perché teneva tanto a questo ingaggio?
«Che domande? Perché Distretto è la serie più bella e di successo che si fa oggi in Italia. Porta fortuna agli attori senza bruciarli, permette di raccontare l'Italia, inclusi guasti e pregiudizi, da un'ottica particolare. E poi, rispetto a qualche anno fa, la differenza tra cinema e tv s'è molto assottigliata. Io che ho cominciato facendo film per il grande schermo mi trovo benissimo sul piccolo. Da poco ho finito di girare La notte breve con Giuliana De Sio, per la Rai».
Però con quel fisico atletico, con quella faccia da impunito, al cinema le fanno fare sempre parti da arrogante...
«È successo con Ricordati di me e Manuale d'amore. Ma insomma, credo di poter sopportare anche altri ruoli. In Piano 17 dei fratelli Manetti, ad esempio, sono un cattivo a tutto tondo. E come lei sa c'è una certa differenza tra un cattivo e uno stronzo».
Dica la verità: quanto conta la ricerca di una popolarità più diretta e immediata nella scelta di Distretto di polizia?
«Molto. Il cinema boccheggia, si fanno pochi film, e se uno va bene ti vedono comunque in pochi. Non c'è paragone con i 6-7 milioni di media che ti garantisce Distretto. Dove, comunque, conta sempre il gruppo, non il singolo. Ho deciso di fare l'attore. E allora che cosa c'è di meglio di una serie ad alto tasso cinematografico, ben recitata e piena di bei personaggi?».
Già. Preoccupato dal cimento?
«Ancora no. Ci dicono di stare tranquilli... spaventandoci a morte».
Ha fatto pace con Mtv? Ultimamente i rapporti erano abbastanza tesi...
«Guardi, il canale mi ha dato tutto: popolarità, opportunità, crescita artistica, capacità di credere in me stesso e nei miei mezzi.

Ma in questa Mtv odierna non mi riconosco, non mi identifico, non ne approvo le politiche, non ne capisco l'operato e non ne sposo il progetto. Riconosco solo il simbolo, ma il resto, per me che ci vivo da 11 anni e ne ho visto l'alto splendore inglese, è solo un sofferto ed impotente assistere allo sfascio di un'idea».

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