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Silvio: nessun patto con Fini

Berlusconi rifiuta trattative per ricomporre lo strappo con il presidente della Camera: pensa solo a sabotare. E sul ddl intercettazioni votazione interna nel Pdl ed eventuale fiducia. A Palazzo Grazioli incontra Tremonti e lo rimprovera: non mi hai difeso a "Ballarò"

Silvio: nessun patto con Fini

RomaDue ore buone di riunione a Palazzo Grazioli, con quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio gabinetto di guerra schierato davanti a Berlusconi sull’enorme tavolo del salotto. Due ore a sfogliare i sondaggi della Ghisleri, ma soprattutto a fare il punto su come chiudere definitivamente il capitolo Fini. Redde rationem, per dirla in due parole. Tanto che quando il Cavaliere congeda i presenti ci manca poco che arrivi a minacciare torture fisiche nel caso in cui sui giornali finisca il solito resoconto completo della riunione. Nella quale, neanche troppo a grandi linee, si butta giù la strategia delle prossime settimane per cercare di imbrigliare la pattuglia finiana.
Così, ci sta che Berlusconi replichi ancora una volta la solita sequela di lamentele nei confronti del presidente della Camera che - è il senso del ragionamento - continua a non perdere occasione per minare la maggioranza. Un sabotatore, insomma. Che sul ddl intercettazioni ha deciso di fare il gioco di quella parte più politicizzata della magistratura tanto che ormai parla come uno di Md. Ed è questo il cuore del problema, visto che il provvedimento dovrebbe tornare nell’aula del Senato martedì pomeriggio. Non è un caso, insomma, che per le nove di mattina dello stesso giorno sia stato convocato l’ufficio di presidenza del Pdl. Che voterà il testo sulle intercettazioni per dargli il visto formale del partito. A quel punto, per i finiani sarebbe più difficile non votarlo o avanzare distinguo, visto che - ripete il premier - sul fatto che la minoranza abbia diritto di parole ma si debba poi adeguare alla maggioranza non c’è mai stato dubbio. Insomma, dice Berlusconi, dobbiamo andare avanti senza timori. Disponibili a venire incontro alle richieste di Fini e del Pd (ieri Schifani si augurava un «avvicinamento delle parti») e, aggiunge, pronti a tenere conto dell’auspicio di Napolitano. Ma, insiste il Cavaliere, «senza stravolgere il testo». Il margine, dunque, potrebbe essere quello di ampliare i reati per cui è escluso il termine di 75 giorni di durata massima delle intercettazioni.
Ma quanto poco Berlusconi creda davvero a un’intesa con Fini lo si capisce dalla road map buttata giù durante la riunione del gabinetto di guerra con Letta, Bondi, La Russa, Verdini, Frattini, Cicchitto, Gasparri, Quagliariello, Vito e Leone. Dopo aver perso mezz’ora buona a fare i conti di quanti siano i finiani alla Camera (e pure in commissione Giustizia nel caso in cui alla Bongiorno non venga rinnovata la presidenza), una delle idee è quella di mettere la fiducia al ddl intercettazioni già al Senato. È vero che a Palazzo Madama non ci sono problemi di numeri, ma sarebbe un gesto che politicamente creerebbe più di qualche problema sia alla Bongiorno in commissione sia ai finiani nell’aula della Camera. Soprattutto se associata al voto dell’ufficio di presidenza del Pdl. La palla, insomma, passerebbe a Fini. Che, è il ragionamento fatto a Palazzo Grazioli, dovrebbe assumersi la responsabilità di mettere in crisi il governo andando contro un voto democratico del partito. D’altra parte, l’uscita di Briguglio sul sito di Generazione Italia («il governo sembra vecchio come un pezzo d’antiquariato, il Pdl è inadeguato») non è passata inosservata. Tanto che dopo essere stata declamata durante il vertice, i commenti sono stati univoci: un vero e proprio atto di guerra, anche perché arriva dal movimento ufficiale dei finiani e quindi «benedetta» dal presidente della Camera. Anche per questo, dunque, Berlusconi è più che convinto che Fini continuerà a fare il sabotatore.
Ma in via del Plebiscito ieri è stato anche il giorno del faccia a faccia con Tremonti. Non tanto sulla manovra, quanto sulla puntata di Ballarò di martedì sera. Va bene che Repubblica ti tratta con i guanti di velluto e ti celebra come l’uomo forte del governo - è il senso del ragionamento del Cavaliere - ma che non dicessi una parola davanti alle falsità di Giannini proprio non me l’aspettavo. Berlusconi, insomma, è convinto che il ministro dell’Economia pensi più alla sua immagine che a quella del governo. E forse anche per questo ha deciso di illustrare lui stesso la manovra in Parlamento.

Un testo che - con buona pace di Tremonti - è suscettibile di modifiche e miglioramenti.

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