Antonio Signorini
da Roma
La nuova rottura tra i tre principali sindacati confederali ha una data precisa: il primo marzo del 2006, primo giorno del quindicesimo congresso della Cgil. Quando dal palco della Fiera di Rimini Guglielmo Epifani celebrò la sintonia con Prodi, riconoscendosi nel programma dellUnione. Seguirono strette di mano e sorrisi di circostanza con gli altri due segretari generali, un Savino Pezzotta prossimo alla pensione e un Luigi Angeletti rassegnato a mettere da parte i molti punti di disaccordo con i cugini di Corso dItalia.
Ma lapertura di credito senza condizioni a Prodi non è mai andata giù a Cisl e Uil. Perché in cinque anni di governo Berlusconi - commentano oggi esponenti di entrambi i sindacati moderati - la Cgil non ha firmato nemmeno un accordo. E non si può passare da un estremo - quello dei «no» a tutto - a un altro - quello dellasse privilegiato con un governo ulivista. E non è un caso che, come si diceva negli anni Settanta, certe contraddizioni alla fine siano esplose, manifestandosi in «no» nettissimi di Cisl e Uil alla Cgil, sparati direttamente dai vertici delle due organizzazioni, con un tempismo che sarebbe ingenuo considerare frutto della casualità.
In cima a tutto cè il tema dellautonomia del sindacato dalla politica. Il sindacato non può diventare - ha argomentato il prossimo segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni - «il gendarme che custodisce un governo né tantomeno il fustigatore di uno schieramento politico. Chi lo fa indebolisce la sua funzione e non fa linteresse dei suoi rappresentati». Quello dellautonomia del sindacato è sempre stato un pallino della Cisl. E la designazione di Bonanni significa che il sindacato cattolico intende rafforzare questo indirizzo. Ma nei «no» dei sindacati pesa anche il fatto che pezzi importanti del programma dellUnione sui temi del lavoro siano stati «ispirati» proprio dalla Cgil. Per il superamento della Biagi, ad esempio, si fa il nome di Alessandro Genovesi, paladino delle lotte contro il precariato e giovane emergente di Corso dItalia. Nessuno nel centrosinistra ha invece consultato la Cisl né la Uil, nonostante la prima conti diversi amici nella Margherita e la seconda, addirittura, tra i Democratici di sinistra.
E la rottura è esplosa proprio sulla Legge Biagi. Epifani è stato costretto dalla sinistra interna a dire chiaramente che il suo sindacato è per labolizione e ha così suscitato una identica reazione da parte di Angeletti e Bonanni. In sintesi: la Biagi non si tocca e comunque sarebbe meglio che la politica restasse fuori da questi temi. Un chiaro di segnale di sfiducia anche nei confronti di chi dice di volere solo modificare la legge. Anche perché - ha osservato ieri Angeletti - se si abolisce la Biagi «torneremmo ai Co.co.co che sono la cosa peggiore». Argomentazioni simili a quelle di qualche anno fa, quando i sindacati erano ai ferri corti, Cgil da una parte, Cisl e Uil dallaltra, e la sinistra accusava il governo di soffiare sul fuoco delle divisioni.
Peccato che il fossato tra il sindacato della sinistra e gli altri due non si sia ricolmato su nessuna delle questioni importanti. Non sul nodo della rappresentanza sindacale (Cgil e sinistra vogliono approvare una legge che favorirebbe la confederazione di Epifani, Cisl e Uil avvertono che un blitz del genere non passerà) né su quello dei contratti. Sono anni che sindacati e Confindustria cercano di mettere mano al sistema di relazioni industriali, ma le tre confederazioni dei lavoratori non riscono a trovare una linea comune a causa dei veti della Cgil.
Ce nè abbastanza per dire che le mosse di Prodi, a dispetto di una campagna tutta impostata sulla «unità» e sulla pace sociale, stanno facendo tornare i sindacati a una rottura come quella del 2002? «Ancora non siamo a quel punto - risponde una fonte sindacale - ma le premesse ci sono tutte».
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