Sindaco-mamma, addio fra i veleni


Prima ancora che nascesse il suo bambino, gli aveva già scritto un fondamentale consiglio di vita: «Caro Filippo, stai tranquillo e sereno: fregatene, quando i tuoi compagni ti diranno delle cattiverie...». Peccato che nessuno abbia dato il consiglio giusto mamma per proteggersi dai compagni suoi: in una tumultuosa mattina di metà gennaio, segnata dalla morte sulle scale di un giovane giornalista locale, la signora sindaco ha dovuto cedere. Rassegnata lei, rassegnate le dimissioni. Il gesto va definito inevitabile: non si fosse tirata indietro per prima, poche ore dopo il consiglio comunale avrebbe discusso la mozione di sfiducia presentata persino dai colleghi di area ulivista. In un sentore di veleni e di malinconia, tra tinte che variano dal rosa sentimentale al rosso politico, è la fine di un reality che ha imbarazzato per mesi il profondo Sud di Cosenza. Qui, dove una storia di cuore e di corna incide ancora più degli intricati giochi di partito.
Adesso, Eva Catizone, quarant’anni, sindachessa di Cosenza amata dai No global (per loro, è Evita), può finalmente dedicarsi al mestiere preferito, quello per cui non ha esitato a scuotere il mondo politico e a scandalizzare la cittadinanza: semplicemente, almeno per un po’, farà la mamma. Starà con Filippo Eugenio, che ha appena compiuto un anno, ma che soprattutto è atteso alla dura prova del tempo, quando sarà in grado di comprendere le ironie e il sarcasmo del suo ambiente. Oltre a ripetergli il consiglio di infischiarsene, la mamma dovrà comunque trovare il modo per rendergli accettabile questa strana storia che l’ha portato al mondo. La storia che tutti conoscono e che lui soltanto ancora non conosce.
Era l’agosto del 2004, lui se ne stava tra gli angeli. Sua madre, la battagliera numero uno di Cosenza, pensò di preparargli il terreno con un pubblico annuncio sul giornale locale, Il quotidiano della Calabria. Lei, uscita dal matrimonio decennale con un imprenditore agricolo di Sibari, dunque da tempo orgogliosamente single, così parlava al cronista: «Aspetto un figlio, e questo figlio lo crescerò io. Il padre, se vuole, può riconoscerlo...».
Gli effetti? Come un colpo di fucile in chiesa. Non trovandosi più nella legalità di un matrimonio, la sindachessa finisce sotto l’occhio impietoso della morbosità. Neanche tanto lunga, per la verità. Due giorni dopo, un notabile Ds del posto, consigliere comunale e segretario regionale molto vicino a D’Alema, ma soprattutto vicinissimo al sindaco, esce di casa promettendo alla moglie (anch’essa notabile diessina) e ai due figli di fare chiarezza: «Basta, adesso metto fine a questa storia assurda. Ma quale amore, ma quale figlio...».
In un certo senso, è di parola. Fa chiarezza. L’indomani, sull’altro quotidiano locale La Gazzetta del Sud, moglie e figli trovano l’intervista rilasciata dal congiunto: «Sono frastornato, distrutto, ma devo assumermi le mie responsabilità. È vero, il figlio del sindaco è mio». Come in una vecchia storia, anche questa Eva ha dunque il suo Adamo: per la precisione Nicola Adamo, 47 anni, collega di consiglio comunale, compagno di partito, da tempo compagno d’intimità. Dal polverone delle macerie, si erge lapidario il commento della signora Adamo: «Diventando pubbliche, queste vicende assumono contorni ancora più squallidi».
In un crescendo di polemiconi interni ed esterni al partito, col padre imbarazzato che offre le dimissioni da segretario regionale (respinte, diamine: non sia mai detto che i compagni ne escano da bacchettoni), ma anche in un vortice di accuse e di insinuazioni (più o meno: la città ha bisogno di amministratori decisi, non di Peynet), i mesi passano e la maternità comunque veleggia fiera verso il suo naturale approdo.
Siamo al 30 dicembre 2004: Filippo si fa strada con un taglio cesareo e va ad occupare il suo posto nell’umanità. Questa di Cosenza, effettivamente, non è bendisposta come un piccolo meriterebbe: a parte quelli retrogradi che ancora lo considerano figlio del peccato, c’è tutta una serie di illuminati modernisti che comunque lo considerano figlio «destabilizzante». Hai voglia, la tenerezza della politica. I manciniani del Pse, gruppo dal quale era partita Eva Catizone, attribuiscono proprio a questa storia l’estromissione dal governo cittadino. Il legame di cuore è anche un patto di ferro politico, spiegano: i voti della sindachessa ai Ds, in cambio lei deputata nel prossimo giro di nomine. Questa storia non può passare...
È solo l’inizio di una fine annunciata, promessa, dovuta.

Certi conti, certi contatti, vanno pagati: persino qui, nell’area del progressismo spinto, dell’apertura culturale, della libertà dei costumi. Risultato: Cosenza perde un sindaco dimezzato, Filippo trova una madre a tempo pieno. Per il piccolo, un buon cambio. I problemi restano tutti all’Ulivo: adesso, deve trovarsi una balia.
Cristiano Gatti

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