IL SINDACO DI TREVISO GIAN PAOLO GOBBO

«Se fosse vero bisognerebbe indagare i magistrati che per 14 anni ci hanno lasciato liberi di agire...». Il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo è tra i 36 esponenti leghisti che saranno processati per «costituzione di banda armata» a Verona il primo ottobre 2010. Un processo che arriva dopo 14 anni dai fatti, avvenuti nel 1996, in relazione alla costituzione delle Guardie padane, che secondo l’ipotesi accusatoria sarebbero «un’associazione di carattere militare con scopi politici», come l’affermazione della Padania.
Le Camicie verdi come le Brigate rosse, insomma...
«Guardi, ormai non mi meraviglio più di nulla. So che il popolo sta con noi, e a me questo basta».
Non mi dica che non è un po’ arrabbiato.
«Sono tranquillo e sereno. Sto lavorando...».
Alla strategia difensiva?
«Ma quale strategia difensiva...».
E a che cosa, mi scusi?
«Noi della Lega stiamo lavorando per arrivare a un governo federalista. Anche per quanto riguarda la magistratura».
Vale a dire?
«Elezione diretta dal popolo di una parte dei magistrati giudici e basta a certi concorsi fatti secondo gli attuali criteri».
Guardi che oltre alla banda armata rischia l’accusa di voler calpestare la Costituzione...
«Noi siamo i veri difensori della Costituzione. Nel 1948 i padri costituenti hanno messo tra i soggetti istituzionali le Regioni. Che invece sono arrivate 20 anni dopo. Ma saremo noi a dare forza alla loro autonomia, a far diventare l’Italia uno stato federale».
Vabbè, torniamo al processo. Come si difenderà dalle accuse?
«Io mi preoccuperei più dei magistrati...».
In che senso?
«Mah, mi scusi. Se, per assurdo, avessero ragione loro, da inquisire sarebbero i giudici. Non si può lasciare tutto quanto fermo per 14 anni e svegliarsi solo adesso. Bisogna avere anche la responsabilità di quello che si fa. Non parlo solo del mio caso... Noi non abbiamo mai fatto nulla».
E se la condannassero?
«Sarà quel che sarà. In Italia ormai succede di tutto...».
Ma le armi? C’erano o è una bufala?
«C’erano, ma anche questa è una barzelletta. Erano regolarmente denunciate, e qualsiasi persona onesta ha il diritto di detenere armi. Non c’entra nulla questa cosa. Vuole che quattro armi denunciate possano sovvertire uno Stato così forte?».
Beh, i Serenissimi ci avevano provato...
«(Ride) Al Campanile di San Marco abbiamo visto dei battaglioni (ride ancora) organizzatissimi e tutto... La rivolta armata non è mai stata una soluzione auspicata e auspicabile, quella era un’altra barzelletta che ci hanno raccontato. Quando hai delle armi denunciate che cavolo c’entra la banda armata...».
Le Camicie verdi sono state in qualche modo antesignane delle ronde. C’è stato un allarme sulle ronde che invece oggi è rientrato.
«Cosa c’è di male a voler sensibilizzare la gente a denunciare determinate situazioni, a verificare quello che succede nelle nostre città, nei nostri quartieri? Attivare i cittadini a passeggiare la sera, a riappropriarsi della città è un deterrente contro i malintenzionati. È logico che la ronda è una forma di educazione civica, da inserire in un contesto dove il cittadino che ha a cuore la sua tranquillità e quella della comunità chiama le forze dell’ordine. Non possiamo mettere un carabiniere a ogni villa. Apriamo le menti...».
Vi accusano di voler affermare l’autonomia della Padania...
«E allora diciamolo, finalmente. Questo sarà un processo alle intenzioni, alle idee di persone libere, democratiche, trasparenti e pulite. È questo il problema? Andare contro le idee?».
In passato vi siete beccati accuse di razzismo, ora la banda armata.

Non teme ripercussioni negative sul voto?
«Alle Regionali? Il razzismo è altrove non da noi. È l’Udc che ha detto “mai con un candidato leghista”, mica noi. È l’Udc che non ha votato il federalismo. Peggio per loro. Sono loro i veri razzisti...».
felice.manti@ilgiornale.it

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