Politica

LA SINDROME DI ATTILA

In un Paese senza segreti come il nostro, resiste soltanto alla legittima conoscenza della pubblica opinione il programma dell’Unione, l’insieme di progetti e di direttive che dovrebbero motivare l’alternanza. E questo mistero resterebbe insoluto anche se si mettessero al lavoro analisti, crittografi e uomini d’intelligence per il semplice fatto che un programma del centrosinistra, e delle sinistre aggregate, in realtà non esiste. Per una volta, siate generosi con Romano Prodi: lui, probabilmente, vorrebbe mostrare un suo libro dei sogni, ma la rissosa compagnia con la quale s’è imbarcato glielo impedisce, perché giorno dopo giorno inserisce progetti e divieti e il candidato premier è costretto a tacere e a mugugnare, contentandosi di galleggiare nel mare dell’indeterminatezza e della reticenza.
L’ultimo colpo alla progettualità dell’Unione viaggia ad alta velocità ed arriva da Rifondazione comunista, dal Pcdi e dai Verdi. Questi scabrosi alleati del Professore non vogliono la Tav, non vogliono l’alta velocità. Nel loro slancio para-ambientalista e sostanzialmente antigovernativo dimenticano che il governo di centrosinistra, ai tempi belli (si fa per dire) del suo potere aveva speso danaro pubblico per realizzare il progetto dei treni veloci.
Rifondazione comunista chiede formalmente che il progetto della Tav non venga incluso nel programma «condiviso» – bella e inutile parola - dell’Unione.
Fermiamoci un momento. Cosa significa tutto questo? Significa, semplicemente, che l’Italia deve restare tagliata fuori dal famoso corridoio che consentirà di saldare in una corrente vitale e vitalizzante di traffico l’area che va dalla penisola iberica ai capisaldi balcanico-danubiani dell’Europa dell’Est. Cerchiamo di semplificare: si tratta di inserire il nostro Paese in un circuito di contatti e opportunità, anche perché la vecchia Europa, responsabilizzata dagli obblighi di essere casa comune per genti ed economie diverse, deve stare nel mondo che si muove con ritmo globale e ricadute dinamiche.
Secondo Prc e l’altra sinistra antimodernista l’Italia dovrebbe cancellare il programma del Tav. E tutto quello che finora è stato realizzato, in tratte speciali, lavori specifici, interventi mirati? Beh, probabilmente dovrebbe rimanere – secondo le sinistre contrarie alla modernizzazione e allo sviluppo – come un monumento al declino italiano, un pezzo d’archeologia trasportistica, una testimonianza visibile del declino che non soltanto paventano, ma che in realtà fortemente vogliono.
Sta a Prodi fare quattro conti e trarre le conseguenze, valutare quel che certi alleati costerebbero non tanto all’Unione quanto all’Italia.
Ma è dubbio che il Professore possa far conti in questa fase magmatica che, per ragioni ideologiche e politiche, è di totale precarietà, almeno per lui.
Non si riesce a capire quel che gli alleati di Prodi in questo momento realmente vogliano. Ogni giorno, c’è qualcuno che alza la manina, dal settore in cui le sinistre antagoniste sguazzano, per imporre un «ukase». No alla Tav, e sia, no al Ponte sullo Stretto – ma anche il governo di centrosinistra aveva detto sì – no alla legge Biagi, no alla legge Moratti, no alla legge Bossi-Fini, no alla riduzione dell’Irpef no a tutto quel che responsabilmente il Paese, con la sua legittima rappresentanza parlamentare, ha fatto per rompere le croste di una consolidata tradizione corporativa e illiberale.
La sinistra che avvolge e controlla Prodi è vittima, per comprensibili motivi storici, della sindrome di Attila: sanno e dicono quel che vogliono distruggere, non sanno quel che vorrebbero costruire.


Ma gli italiani vorrebbero sapere.

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