Ma la sindrome della guerra ormai dilaga in Medioriente
3 Aprile 2007 - 03:04Dopo le immagini di due soldati prigionieri trasmesse domenica sera, che avevano irritato ulteriormente Blair, qualcosa si muove negli incontri bilaterali
«La guerra? È in arrivo, bellezza». Lo dicono, lo scrivono, lo urlano un po tutti. Da Mosca a Teheran, dal Cairo a Damasco un solo grido, una sola paura mette daccordo analisti, militari e giornalisti. La punta più alta della dilagante «polemofobia» si registrerà alle quattro di mattina (non si sa di quale fuso) del Venerdì Santo. A quellora - secondo il settimanale moscovita Argumenti Nedeli, ispirato da fonti dello Stato Maggiore russo, - inizierà lOperazione Morso, una tempesta di missili e bombe intelligenti destinata in dodici ore a fare piazza pulita di tutti i centri di ricerca nucleare della Repubblica islamica. LOperazione Morso si rivelerà immancabilmente una tempesta di carta, ma intanto contribuisce generosamente alla diffusione dellimperante sindrome da conflitto incombente. Nel suo articolo su «La certezza della guerra» - pubblicato dal quotidiano londinese in lingua araba Al Hayat - il commentatore kuwaitiano Muhammad Al Rumihi ricorda che lOccidente è «determinato a entrare nella madre di tutte le guerre» per impedire a Teheran di controllare la regione e fermare la sua influenza in Libano e Palestina. Un allarme condiviso dal quotidiano del Bahrain, Al Watan. Il sintomo più eloquente, rivela la testata, è «la crescente presenza di personale militare americano negli alberghi del nostro emirato, dove il 90 per cento delle stanze è ormai occupato». Laltro incontrovertibile segnale, secondo il quotidiano, sono gli «avvertimenti sullalto rischio degli investimenti» indirizzate dai circoli militari statunitensi alle compagnie finanziarie statunitensi in Bahrain. A chi ancora non ci crede Al Watan ricorda il recente annuncio del responsabile della difesa civile sull«aggiornamento degli impianti di allarme e di tutti i sistemi di rilevamento per minacce chimiche, biologiche e radioattive». Altre certezze sullattacco statunitense arrivano dal quotidiano dellopposizione egiziana Al-Masri Al-Yawm che segnala «il dispiegamento di missili Patriot nelle principali basi americani nel Golfo e soprattutto in quelle irachene».
I primi a sperare in una guerra anzitempo, aggiungono fonti dintelligence israeliane, sarebbero i generali dei pasdaran. Convinti di dover comunque fronteggiare un attacco entro il prossimo autunno caldeggerebbero lidea di imporre a Washington un raid anticipato costringendo il Pentagono a ridurre i tempi di preparazione. «Se lAmerica inizia la guerra contro lIran non sarà lei a finirla» promette dando credito a simili certezze, Morteza Saffari, comandante delle forze navali dei pasdaran. I negoziatori nucleari di Teheran sfruttano, invece, la dilagante «polemofobia» per notificare allAgenzia internazionale per lenergia atomica il rifiuto di installare allinterno dei siti nucleari le previste telecamere di controllo: «Quelle telecamere - spiegano - potrebbero venir sfruttate dalle spie di Washington e Londra per indirizzare gli attacchi ai nostri impianti».
A esasperare i timori di Teheran contribuiscono il sovrano saudita Abdullah e i suoi collaboratori durante lincontro con il presidente Mahmoud Ahmadinejad dello scorso 4 marzo: «Lo abbiamo avvertito rivela in unintervista il ministro degli Esteri di Riad Saud al Faisal - a non giocare con il fuoco, a non pensare che la minaccia non esista, a considerarla un pericolo non solo reale, ma addirittura palpabile». Quelle raccomandazioni non spaventano forse il bellicoso Ahmadinejad, ma di certo mettono in allarme i suoi alleati. «Latmosfera è la stessa dei giorni precedenti laggressione americano-britannica allIrak, ma lobbiettivo stavolta è lIran» scrive il quotidiano governativo siriano Teshreen, dando sfogo ai timori di politici e militari.
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