Piazza Affari, Milano, Italia: a giudicare dai sussulti che quasi ogni giorno, e ormai da settimane, i risparmiatori avvertono sui loro portafogli sempre più leggeri, sembra che lepicentro della crisi non sia nè nella Grecia in bilico tra salvezza e bancarotta, nè negli Stati Uniti dove si va consumando un balletto grottesco e pericoloso sul rifinanziamento del debito. Qui, più che altrove, savvitano gli indici in una spirale mortifera, cedono soglie di resistenza, scappano come tanti lemmings gli azionisti davanti alla liposuzione incontrollata dei titoli.
Ieri, unaltra scossa del 2,8% della scala Ftse-Mib ha tramortito la nostra Borsa. Uno score da ultima della classe, in confronto alle consorelle europee che hanno contenuto il ribasso appena al di sopra dell1% e di Wall Street, in calo dello 0,7% a unora dalla chiusura. Questa divaricazione si spiega con una ragione banalmente elementare: sul mercato italiano i titoli bancari hanno un peso ben più preponderante che altrove. E i titoli bancari, anche ieri, sono letteralmente collassati: crolli superiori al 5% hanno colpito Ubi Banca, Banco Popolare e Intesa, Mediobanca ha lasciato sul campo il 4,9%, Unicredit il 4,3% e Bpm il 3,2%. Negli ultimi sei mesi il valore di istituti come la Milano o Ubi si è di fatto dimezzato, Intesa si è indebolita del 25% e Unicredit di circa il 30%. Così, sempre che i mezzi propri e i fondamentali di una banca abbiano ancora un senso, siamo arrivati a prezzi da saldo. Non a caso, tutte le parti sociali, da Confindustria a Cgil, Cisl e Uil, con lAbi, Alleanza cooperative italiane, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Reteimprese Italia, hanno detto ieri di «guardare con preoccupazione al recente andamento dei mercati finanziari» e che è necessario ricreare «condizioni per ripristinare la normalità sui mercati finanziari con un immediato recupero di credibilità nei confronti degli investitori».
Se si guarda a questa discesa agli inferi, verrebbe da dire che le nostre banche non sono mai uscite dalla recessione. In realtà, lhanno superata senza aver bisogno della stampella pubblica. Cosa invece avvenuta in altri Paesi. Fino a qualche settimana fa, si attribuiva il deprezzamento dei titoli bancari allesito degli stress test, che secondo indiscrezioni si sarebbe rivelato infausto per alcune delle nostre banche. Adesso, superato lo scoglio della prova da sostenibilità finanziaria, la colpa è dei troppi titoli di Stato italiani in portafoglio. Come se allinizio dellanno, o tre mesi fa, vi fossero meno Bot o Cct in pancia alle banche.
Ciò che però è cambiato è la percezione del rischio-Italia, che si riflette nellallargarsi della forbice di rendimento tra il Btp e il Bund tedesco (ieri lo spread è salito a 313 punti base), con riflessi negativi sui conti pubblici tricolori causati dai maggiori rendimenti che il Tesoro si trova costretto a garantire per collocare, ad esempio, unobbligazione come il Btp a 10 anni che ieri ha sfondato la soglia del 4%. Il motivo di questo cambio di umore? Forse la manovra finanziaria non abbastanza rassicurante agli occhi di qualcuno? Sarà. Eppure, il presidente uscente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha citato ieri proprio la manovra italiana come esempio per la riduzione del deficit. Oppure sono forse i timori legati a una maggioranza non più perfettamente coesa? Magari. Ma tutto ciò basta per mettere lItalia quasi sullo stesso piano della Spagna (spread dei Bonos a 334 punti rispetto al bund)? Può darsi, ma a patto di convincersi che dietro a questo teatrino dellassurdo ci sono i burattinai della speculazione.
«LItalia è inattaccabile, ma è sotto attacco», ha commentato martedì scorso, con splendido paradosso, il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, Giovanni Bazoli, riferendosi proprio alla speculazione. Tutto, al momento, gioca a favore degli squali del ribasso. A cominciare dalla situazione della Grecia, falcidiata ieri dallennesimo taglio del rating da parte di Standard&Poors: da CC a CCC, perchè il salvataggio-bis è considerato un «default selettivo».
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