Politica

«A sinistra c’è voglia di vendetta La prova? Le parole di Bertinotti»

Prodi prende le distanze: stiamo al programma, non ho fatto proposte specifiche

Roberto Scafuri

da Roma

C’è chi, nel centrodestra, legge il «dimagrimento Mediaset» proposto da Bertinotti come un machiavellico modo di tirare la volata di D’Alema al Quirinale, essendo il presidente ds da tempo sulla linea «Mediaset è una risorsa del Paese». C’è chi, nel centrosinistra, invita Bertinotti a «misurare i termini». L’Udc Volontè invoca l’intervento della Consob alla luce dell’andamento in Borsa dei titoli Mediaset (ieri -0.93%) e TiMedia (+19%).
Silvio Berlusconi parla di «fatto gravissimo» che testimonia come «nella sinistra ci sia voglia di vendetta». Insomma, dice, «parole pesantissime: se il buongiorno si vede dal mattino... e questi sarebbero i liberali?». Ma il Cavaliere in quella frase del leader di Rifondazione ci vede anche qualcosa di positivo. Innanzitutto, commenta con i suoi collaboratori, «la levata di scudi del resto dell’Unione è molto consolante». Poi, allargando il ragionamento, il fatto che la questione del conflitto d’interessi sia stata sollevata «in maniera così scomposta» fornirà una «sponda utile» alla Cdl. E a Palazzo Grazioli la dichiarazione di Prodi sul 25 aprile viene considerata una presa di distanze. «La battuta di Bertinotti ci fa soltanto un favore. È un boomerang. Noi non potevamo certo sollevare il problema. Ci ha pensato lui. La sua gaffe è la più grossa assicurazione sulla vita di Mediaset».
Fausto Bertinotti non parlerà della vicenda, almeno fino a elezione di Montecitorio condotta in porto. Dal quartier generale di Rifondazione però anche ieri sono giunte precisazioni e chiarimenti: il responsabile economico, Paolo Ferrero, dice che «si è fatto un gran rumore per nulla». Quello per le Comunicazioni, Sergio Bellucci, spiega che «è un nuovo sistema delle telecomunicazioni quello che va ripensato». Insomma, Prc starebbe immaginando nuove norme anti-trust per un «sistema radiotelevisivo ormai schiacciato da una concentrazione senza paragoni in Occidente». Dal leader dell’Unione, Romano Prodi, è giunto invece un brusco stop. «Non ci si smuove dal programma», ha detto rinviando i cronisti alla dichiarazioni «su come devono funzionare i mercati» fatte in campagna elettorale. «Andatevele a prendere e avrete la chiave». Ma ha escluso l’eventualità di una redistribuzione delle frequenze televisive: «Non ho fatto alcuna proposta specifica».
Sul peso del programma nell’Unione ha molti dubbi il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi: «È già ridotto a carta straccia, non passa giorno che uno della coalizione non auspichi o annunci una posizione diversa da quella scritta nel programma. Quella di Bertinotti è una posizione da comunista, ma così si ucciderebbe il mercato». Anche per Rotondi il capo rifondatore «ha un’idea bizarra del mercato, che ridimensiona un’azienda e i suoi lavoratori». Il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, trova «assurde queste cure dimagranti, contrarie agli interessi dei lavoratori». Però, sostiene Cesa, «Prodi ancora una volta sarà costretto a cedere».
Nel centrosinistra sono in molti a escludere «intenti punitivi» da parte dell’Unione, come fanno il socialista Villetti, il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Paolo Gentiloni, e il neodeputato Paolo Gambescia. «Nessuna vendetta - assicura anche Antonio Di Pietro - ma serve il pluralismo». «Folle difendere il duopolio», aggiunge il ds Beppe Giulietti, aggiungendo però che le parole di Bertinotti «sono abbastanza intempestive». Il consigliere Rai Sandro Curzi difende Bertinotti da qualsiasi intento «vendicativo, lo conosco bene: però lui pone un problema serio, la riforma del sistema del duopolio, che ha fallito». E lo stesso prodiano Monaco non esclude il «dimagramento», come «corollario dell’apertura del mercato tv. Ma Alfonso Pecoraro Scanio, dice «no» a «leggi ad hoc per Mediaset».
La polemica agita anche il mondo dell’informazione. Il postdc Nuccio Fava, già direttore del Tg1, difende Bertinotti, in quanto si è limitato «a mettere in luce l’ecomostro del sistema televisivo».

E se il direttore del Tg5, Carlo Rossella, rispedisce al mittente la proposta di «dimagrimento», il comitato di redazione della testata invita l’esponente di Rifondazione a «tenere in considerazione le esigenze dei lavoratori».

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