La sinistra ci ruba anche la memoria

La sinistra raccolga ora quel segnale di popolo giunto dalla piazza di Roma: questo è l’appello lanciato ieri dal quotidiano Liberazione. Il grido alto e forte che dalla capitale è rimbalzato in ogni angolo della penisola è: Nostalgia.
Ognuno ha le sue nostalgie: alcune aiutano anche a vivere. Ma perché la sinistra deve proprio venire a rubare le nostre nostalgie?
Come ormai è chiaro a tutti, dopo l’oceanica manifestazione romana ci sarà finalmente la libertà di stampa. La Repubblica e l’Espresso potranno adesso esprimere liberamente il loro pensiero, gli intrattenitori di Raitre non avranno più il bavaglio, Santoro e Travaglio diranno quello che pensano ed era stato loro impedito di dire. Soltanto Minzolini, il direttore del Tg1, dovrà essere un po’ prudente, perché d’accordo per la libertà d’espressione, ma non esageriamo.
Tanti liberatori dell’informazione pretendono, dice Liberazione, quella televisione dei bei tempi passati, quando era uno strumento di «acculturazione di massa», di «unificazione nazionale». Era la televisione in bianco e nero di Bernabei e del mitico maestro Manzi, quella con un solo canale o al massimo due, con lo stretto controllo democristiano, paternalista e moralista, che ci faceva andare a letto presto e si preoccupava di coprire pudicamente le gambe delle Kessler.
Non ce lo dice, ma si capisce che Liberazione ha nostalgia di Scelba e di Tambroni, della scuola di classe e dell’università di élite. Perché la sinistra ha nostalgia di un mondo che non è suo? Perché non ha nostalgia di Stalin, di Togliatti, del centralismo democratico e dell’Urss? Perché essendo il suo mondo ridicolo, deve inventarsi un passato che non è suo. Si pensi solo a questo: il giornalista che scrive l’articolo di fondo di Liberazione, Paolo Ciofi, durante la campagna elettorale del ’68 girava con un cartello su cui era disegnato il cagnolino Snoopy che diceva: «Basta con Moro alla Tv». Era un bravo comunista che se la prendeva con la televisione borghese, prevaricatrice, conformista, democristiana; e naturalmente le sue aspre battaglie per la libertà di informazione. Ci prendevano in giro allora da finti rivoluzionari, ci prendono in giro oggi con la nostalgia per un mondo su cui versavano fiele.
Fare i conti con il passato è giusto, se non si imbrogliano i numeri. Il presidente della Repubblica li ha fatti anche in un recente discorso, criticando il velo ideologico che adombrava le menti di sinistra, che tuttavia non impediva il rispetto dell’avversario e il piacere del confronto. Fare i conti con il passato è difficile perché è necessario volgere lo sguardo criticamente a un pezzo della propria vita, a errori e illusioni, a giudizi sbagliati e battaglie inutili. Allora accade che si osservi il passato con la nostalgia per le cose perdute, per un mondo diverso che non può tornare, per le occasioni mancate e per qualche successo che ha dato speranza.
La nostalgia è un sentimento regressivo ma che ci può stare se aiuta a capire chi siamo e quello che siamo stati, se ci dà il coraggio della critica sincera e la vera consapevolezza di qualche buon risultato raggiunto. Ma bisogna essere onesti, non cambiare le carte in tavola. La sinistra sia nostalgica delle sue bandiere, dei suoi leader e dello Stato dei Soviet e lasci stare le eventuali nostalgie degli altri.

Critichi il suo passato come fa ogni persona intelligente, come fa qualunque movimento politico radicato nella società. Allora ci saranno momenti anche per la nostalgia, per quella autentica, che vive nel senso della Storia, non per quella ridicola e falsa che vive truffando la Storia.

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